mughini facci

LA VERSIONE DI MUGHINI – IN UN TOMONE FILIPPO FACCI RACCONTA IL PUTIFERIO DI TANGENTOPOLI - "FU VERA GIUSTIZIA LA DISTRUZIONE DI UNA CLASSE POLITICA CHE AVEVA AL SUO ATTIVO LA RICOSTRUZIONE DEMOCRATICA DEL PAESE? SÌ O NO LA CARCERAZIONE PREVENTIVA VENNE USATA COME STRUMENTO DI PRESSIONE SUGLI INDAGATI? SÌ O NO IL TERREMOTO DI TANGENTOPOLI APRÌ LA STRADA A RAPPORTI PIÙ SANI TRA GLI UOMINI DELL’ECONOMIA E GLI UOMINI DEI PARTITI? A QUESTA DOMANDA FRANCESCO SAVERIO BORRELLI RISPOSE CHE... "

Giampiero Mughini per Dagospia

 

giampiero mughini

Caro Dago, ti confesso che sono arrivato a un punto della mia vita in cui esito non una ma dieci volte prima di avviare la lettura un libro che di pagine ne ha non meno di 500. E invece ho esitato solo pochi minuti prima di cominciare la lettura di questo recente tomone da 700 pagine di Filippo Facci, La guerra dei trent’anni (Marsilio, 2022), da lui dedicato al terreno che vanga da tutta una vita. Nato nel 1967, aveva qualcosa più di vent’anni quando scattò il putiferio di Tangentopoli, quei dieci anni furibondi in cui venne distrutto il sistema partitico della Prima Repubblica e dunque cambiato alla grande il corso della nostra storia civile.

 

Mi piacciono molto di questo libro i brani in corsivo, quelli in cui Filippo smette gli abiti dello storico/giornalista e diventa il narrante del sé stesso di allora, quando era un collaboratore esterno dell’ “Avanti!” diretto da Roberto Villetti e lo pagavano 25mila lire a pezzo pubblicato, e per giunta il più delle volte gli toglievano la firma affinché lui non campasse pretese ad essere assunto.

Filippo Facci

 

Erano del resto gli ultimi e stentatissimi anni del quotidiano socialista - come del resto di tutto l’universo socialista - il cui deficit stava diventando spaventoso e che pur tuttavia, al dire di Facci, pagava cifre esorbitanti i suoi collaboratori “di grido” nonché stipendi stellari. Per quel che mi riguarda  e siccome a quel tempo della mia vita sfioravo la casa socialista ed ero amico di Villetti, concordai e scrissi per il quotidiano socialista quattro pezzi. Che non mi vennero mai pagati.

 

filippo facci cover

Il fatto è che il Facci poco più che ventenne aveva a cuore la casa socialista pur non avendone favori né prebende, e mai un minuto è stato di quelli che il Bettino Craxi caduto in disgrazia fingevano di non averlo mai conosciuto. Tutto il contrario, lui non ha mai pensato un solo minuto che i magistrati d’accusa che fecero il bello e il cattivo tempo durante gli anni di Tangentopoli li avesse mandati a Iddio a correggere i vizi della gente. Tutto il contrario, lui fa shampoo barba e capelli ai tanti giornalisti che si occupavano di giudiziaria e che si misero in ginocchio innanzi ai magistrati d’accusa, il rude Antonio Di Pietro su tutti.

 

Io non ho mai scritto una riga contro Di Pietro; di processi di colpevoli di innocenti non ne so abbastanza, non è il mio campo. Certo non ho mai scritto una riga ad adorarlo. Una volta che Di Pietro venne a una puntata di una trasmissione televisiva condotta da Piero Chiambretti, battibeccammo un istante. Lui aveva detto che gli imputati di Tangentopoli erano tutti dei malfattori, io gli obiettai se ritenesse un malfattore uno come Gabriele Cagliari, l’ex presidente dell’Eni che si suicidò in carcere il 20 luglio 1993 perché sfinito da una detenzione preventiva durata oltre quattro mesi. Non so se sia vero quello che qualcuno mi riferì, e cioè che gli autori della trasmissione non avevano gradito affatto che io contraddicessi Di Pietro.

 

CRAXI DI PIETRO

Nel suo spassoso elenco di giornalisti “giustizialisti” Facci assegna il posto d’onore al quotidiano “L’Indipendente” allora diretto da Vittorio Feltri e di cui ero un collaboratore fisso. Quando vidi in televisione quel parlamentare/macchietta della Lega che agitava un cappio in direzione del Giuliano Amato capo del governo, subito telefonai a Vittorio dicendogli che volevo prendere le difese di Amato. Vittorio mi rispose che sarebbe stato felicissimo di pubblicare il mio pezzo, che mise in prima pagina. Accanto, e com’era nel suo pieno diritto, mise il pezzo di non ricordo più quale misirizzi che tirava calci negli stinchi ad Amato. Sì, era esattamente come scrive Facci, che nella buona parte dei giornali erano tenuti in palmo di mano i giornalisti della giudiziaria che si telefonavano ogni mattina con i magistrati d’accusa.

 

DI PIETRO COLOMBO BORRELLI

Sterminato è l’elenco delle piaggerie nei loro confronti documentate dal prode Facci. Sterminato è l’elenco di quel politici democristiani o socialisti o altro le cui imputazioni tuonavano dalle prime pagine dei giornali, e le cui assoluzioni per non avere commesso il fatto sonnecchiavano in basso a una paginetta del centro giornale. Sterminato è l’elenco delle anomalie procedurali e processuali di quel tempo in cui gli italiani “brava gente” si entusiasmavano al possibile nel vedere sbattuti in cella quei politici che un tempo erano apparsi onnipotenti. E a non dire dell’entusiasmo degli elettori dei partiti che avversavano i partiti degli inquisiti, a cominciare dagli elettori e simpatizzanti del Pci nel vedere Bettino Craxi e i craxiani sommersi dal fango delle accuse e dunque cancellati dalla prima linea della contesa politica.

antonio di pietro a non e' l'arena

 

Fu vera giustizia quella distruzione di una classe politica che aveva al suo attivo la ricostruzione democratica del Paese dopo i disastri della Seconda guerra mondiale? Sì o no la carcerazione preventiva venne usata come strumento di pressione sugli indagati affinché ne denunciassero altri? Sì no i magistrati d’accusa frugarono scrupolosamente nei retrobottega di alcuni partiti e molto meno in quelli di altri partiti? Sì o no il terremoto di Tangentopoli aprì la strada a rapporti più sani tra gli uomini dell’economia e gli uomini dei partiti?

 

GABRIELE CAGLIARI CRAXI

A questa domanda lo stesso Francesco Saverio Borrelli aveva risposto qualche tempo fa di no, che Tangentopoli non aveva né sanato né migliorato alcuno dei parametri che governano il rapporto tra l’Italia dell’economia e l’Italia dei partiti. E  ammesso che quelli di oggi siano dei partiti per come noi eravamo abituati a intenderli durante la Prima Repubblica, per come noi eravamo abituati a conoscere gli uomini che avevano debuttato in politica negli anni Quaranta e Cinquanta.

 

E non è un caso che quando leggiamo qualcosa che viene dai sopravvissuti di quelle generazioni, da un Rino Formica o da un Paolo Cirino Pomicino, e le paragoniamo con quello che ascoltiamo dai tanti che in tv fanno rumore con la bocca, ci vengono i brividi.

 

 

GIAMPIERO MUGHINI

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