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DONNE, RIBELLATEVI: IL CORONAVIRUS BLOCCA LE INTERRUZIONI VOLONTARIE DI GRAVIDANZA - NELLE ZONE MOLTO COLPITE, GLI OSPEDALI HANNO SOSPESO GLI INTERVENTI IMPUGNANDO IL DECRETO DEL 9 MARZO IN CUI SI LEGGE CHE SI “POSSONO RIMODULARE O SOSPENDERE LE ATTIVITÀ DI RICOVERO E AMBULATORIALI DIFFERIBILI E NON URGENTI” – MA LA LEGGE 194 STABILISCE CHE È POSSIBILE ABORTIRE ENTRO 90 GIORNI DAL CONCEPIMENTO E…

Rita Rapisardi per "www.corriere.it"

 

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I primi guai si sono fatti avanti già un mese fa nelle ormai ex “zone rosse”. Lì gli ospedali, impegnati contro il virus, hanno iniziato a sospendere l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG): è successo a Sant’Angelo Lodigiano, Codogno e Casalpusterlengo. Poi l’epidemia è arrivata a Bergamo. Prima dell’emergenza lì a garantire il servizio IVG c’erano tre presidi: Alzano Lombardo, Seriate e Piario. Ormai resta solo quest’ultimo.

 

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Oggi le donne di tutta Italia non sanno come muoversi. La legge 194 stabilisce che è possibile interrompere una gravidanza entro 90 giorni dal concepimento. Un lasso di tempo che si assottiglia mentre si va in consultorio, si aspetta la cosiddetta “settimana del ripensamento” (obbligatoria, se non in casi di emergenza) e si fanno visite e analisi. Nel caso dell’aborto farmacologico i giorni si riducono a 49: sette settimane, anche se nel resto d’Europa sono nove.

 

E di solito le prime quattro trascorrono nell’inconsapevolezza di essere incinte. Nel mezzo dell’epidemia di coronavirus, le donne che vogliono interrompere una gravidanza perdono giorni preziosi al telefono alla ricerca di consultori aperti e ospedali disponibili. Gli spostamenti poi complicano il tutto. «La più grande difficoltà è stata capire dove andare», racconta F. di Napoli, «io ci ho messo tre settimane. Ormai sono alla decima».

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«L’aborto è un servizio essenziale»

Alcuni ospedali per giustificare la soppressione delle IVG impugnano il decreto del 9 marzo in cui si legge che si “possono rimodulare o sospendere le attività di ricovero e ambulatoriali differibili e non urgenti”. Ma secondo Alessandra Kustermann, responsabile della Mangiagalli di Milano (che oggi assorbe anche gli aborti del Niguarda), l’aborto è «un servizio essenziale»: «Non si può mettere in dubbio la 194», aggiunge, «o cominceranno di nuovo gli aborti clandestini.

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Lo considero un femminicidio, ci ricordiamo quante donne morivano?». In Italia, secondo una stima contenuta nell’ultima Relazione annuale sull’attuazione della legge 194, nel 2017 ci sono stati 12-15 mila IVG clandestine. Il rischio è che l’epidemia le faccia aumentare.

 

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Il primo a saltare è l’aborto farmacologico: in tutta Italia, sempre meno ospedali offrono la possibilità di optare per la pillola abortiva. Il Policlinico Federico II di Napoli, ad esempio, ha disattivato le IVG farmacologiche e mantenuto solo quelle chirurgiche. Il S. Giuseppe Moscati di Avellino, sentito al telefono per avere informazioni sul servizio di IVG, risponde - si spera per uno scherzo di cattivo gusto - che «durante la settimana Santa non si effettuano quelle cose».

 

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Salvo poi rettificare, in un secondo momento, dicendo che il servizio è sospeso per via dell’epidemia. All’Ospedale Maggiore di Lodi gli aborti farmacologici sono stati sospesi: anche quelli già prenotati sono stati convertiti in chirurgici, costringendo così le donne che pensavano di dover fare un percorso a farsene andar bene un altro. Solo chirurgico anche al Merano di Bolzano e al San Leonardo di Salerno. Al Policlinico di Napoli, tutto cancellato per evitare di riempire gli ambienti. Per la provincia di Agrigento e parte di quella di Trapani a garantire il servizio c’è un solo medico: «È vero, ci sono molte emergenze, ma non per questo si può tenere una gravidanza indesiderata», dice.

 

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Favorire l’aborto farmacologico

Eppure in una situazione come quella odierna il farmacologico potrebbe essere parte della soluzione. Se non fosse per via del ricovero obbligatorio di tre giorni, richiesto in 12 regioni su 20, che oggi spinge tanti ospedali a sospendere il servizio: dato che le IVG chirurgiche si svolgono in day hospital, risultano più adatte all’emergenza. Questo anche se, nella pratica, il 95% delle donne che scelgono la pillola abortiva firmano per andare a casa dopo 24 ore.

 

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Per tutto ciò che riguarda le IVG farmacologiche, i problemi precedono l’emergenza coronavirus. Basti pensare che in Italia solo il 17,8% delle IVG avviene con l’uso della pillola abortiva, contro il 97% della Finlandia e il 67% della Francia. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) da sempre sconsiglia fortemente la dimissione volontaria e insiste perché si mantenga il limite a sette settimane, anziché portarlo a nove come in altri Paesi europei. «Perché si deve fermare una pratica medica che funziona?», si chiede però Anna Maria Marconi, direttrice del Dipartimento Materno Infantile dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.

 

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Anche l’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani chiede di facilitare l’aborto farmacologico, anziché ostacolarlo. La stessa OMS invita a ricorrere alla pratica meno invasiva: per alleggerire gli ospedali ma, soprattutto, per un minor rischio per la donna.

 

«Noi cerchiamo di mantenere il servizio nonostante la chiusura del day hospital», racconta Marconi, «purtroppo attualmente le donne che devono abortire sono nello stesso reparto delle puerpere. Non è auspicabile, ma abbiamo dovuto convertire il day surgery in reparto Covid».

 

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La dottoressa si augura che da questa situazione nasca un nuovo modello che punti sulla telemedicina: le pillole abortive potrebbero essere somministrate in consultorio o in ospedale, per poi monitorare le donne al telefono. «In tempi di guerra bisogna essere razionali», spiega Francesco Matrullo, direttore del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale San Pio di Vasto. «Abbiamo un numero limitato di anestesisti e stiamo assorbendo in parte le richieste di IVG del Molise. Per questo abbiamo pensato di potenziare il farmacologico, che non necessita di sala operatoria».

 

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I preziosi anestesisti

Matrullo tocca un punto chiave: il ruolo degli anestesisti, che durante l’emergenza sono tra i primi a essere dirottati nei reparti Covid. E così, negli ospedali dove scarseggiano già in tempi normali, non ne resta nessuno per le IVG. È successo, per qualche giorno, al S. Chiara di Pisa e al Grassi di Ostia. E succede ancora al Michele Chiello di Piazza Armerina, in provincia di Enna.

 

«Come in tutte le situazioni dobbiamo sempre trovare il modo di far pagare alle donne il prezzo più alto», commenta la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione Femminicidio: «Il decreto è stato pensato per quindici giorni, non può funzionare per mesi». Per questo si pensa a una direttiva che accomuni tutte le ASL e impedisca la sospensione dell’IVG.

 

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I consultori

Le difficoltà iniziano prima ancora di arrivare in ospedale. I consultori sono indispensabili per compiere il primo passo verso una IVG: rilasciano il documento medico con il quale presentarsi in ospedale. Ma con l’emergenza quelli aperti sono sempre di meno. 

 

«Potrebbe essere chiuso il 40-50% dei consultori», è la stima di Federica di Martino, psicoterapeuta, che aggiunge: «Del foglio medico potrebbero occuparsi anche i medici di base, ma pensano non sia loro compito». Risultato? Situazioni come quella di M., una minorenne di Cefalù: ha trovato il consultorio chiuso, è immunodepressa e senz’auto, è riuscita a farsi mandare il documento sul pc solo dopo enormi difficoltà.

 

«Il sistema collassa perché non funziona», chiosa Eleonora, una delle attiviste che si occupa di Obiezione Respinta, una piattaforma web che mappa gli ospedali dove continua l’IVG. In Italia è infatti obiettore il 68,4% dei ginecologi e il 45% degli anestesisti.

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