“MEGLIO RECLUSI CHE MORTI, MILANESI STATE A CASA” - IL DIRETTORE DEL REPARTO DI MEDICINA DELL’OSPEDALE “GIOVANNI XXIII” DI BERGAMO, STEFANO FAGIUOLI, A “CIRCO MASSIMO”: “È UNA GUERRA, NESSUN SISTEMA SANITARIO È IN GRADO DI SOPPORTARE LA CONCENTRAZIONE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO DELLO STESSO IDENTICO PROBLEMA…”

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Da “Circo Massimo - Radio Capital”

l esercito porta le bare fuori da bergamo l esercito porta le bare fuori da bergamo

 

“Ho ricevuto risposte al mio appello anche commoventi, anche dall’estero. Ci sono state una quantità di offerte di aiuto da parte di personale sanitario, medici e infermieri, dall'Italia e non solo. Li abbiamo messi in contatto con la nostra amministrazione. Abbiamo avuto anche un commovente incremento di donazioni e aiuti che servono per acquistare materiali”.

 

Così Stefano Fagiuoli, direttore del reparto di Medicina dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo parla a Circo Massimo, su Radio Capital, delle risposte all’appello che aveva lanciato ieri al mondo intero spiegando la carenza di medici, infermieri, ventilatori e materiale medico in questa situazione di totale emergenza. “Al di là delle polemiche – dice ancora il Direttore - abbiamo sentito forte la vicinanza delle istituzioni, non siamo stati lasciati da soli.

l esercito porta le bare fuori da bergamo l esercito porta le bare fuori da bergamo

 

Noi dovremo cominciare a ragionare in una maniera di prospettiva, dovremo pensare che ci questo nuovo personale ci dia una mano per liberare a breve termine dei specialisti che possano ritornare ad occuparsi dei pazienti convenzionali".

 

"La situazione è di altissima pressione- spiega - abbiamo oltre il 60% dei letti di tutta la struttura ospedaliera dedicati a pazienti con il coronavirus, più di 80 in terapia intensiva. In condizioni normali sono 45-60 posti letto, ma sono preoccupato soprattutto per la gestione dell'ordinario. Il rischio è quello di non curare con la nostra solita adeguatezza i pazienti convenzionali, perché siamo sopraffatti da questa cosa.

 

l esercito porta le bare fuori da bergamo l esercito porta le bare fuori da bergamo

La criticità è la compressione nel tempo brevissimo di un alto numero di pazienti con gli stessi problemi. Ci sono state sterili polemiche sulla sanità con saccenti che parlavano e nulla sapevano- si sfoga Fagiuoli - ma la verità è che nessun sistema sanitario è in grado di sopportare la concentrazione nello spazio e nel tempo dello stesso identico problema. Da qui è nato il paragone, forse irriverente, con lo stato di guerra. Il concetto fondamentale è lì".

 

 Sui medici che mancano dice che “le figure fondamentali sono l'intensivista e il personale infermieristico che si sobbarca il lavoro più gravoso e pesante di assistenza individuale. Questo personale ha dimostrato di essere più che straordinario e li dovremmo ringraziare sempre. Ma la soluzione non potrà mai essere solo medica e nel mondo lo stanno capendo".

 

bare a bergamo bare a bergamo

 “Sì solo i milanesi possono salvare l’Italia – ammonisce il Direttore - è un mese che diciamo questa cosa. Sento persone che si lamentano di essere segregate in casa. Io ho fatto la mia quarantena, sono stato infettato e ho avuto la polmonite, è orribile veder private cose che fanno parte della nostra vita, ma se siamo arrabbiati e reclusi vuol dire che siamo vivi, e questo è già un ottimo primo passo. Il virus non cammina da solo, cammina sulle nostre spalle”.

 

Quando gli si chiede quante persone siano decedute nel suo ospedale Fagiuoli risponde che “nei dati di ieri siamo a 149 persone negli ultimi 12-13 giorni, più di dieci al giorno solo nel nostro ospedale. Il numero la dice lunga sul fatto che il picco che abbiamo pagato in questa zona deve essere di lezione a tutto il resto d'Italia e del mondo. Questi numeri possono essere clamorosamente abbattuti con l'isolamento”.

esercito porta via le bare da bergamo esercito porta via le bare da bergamo

 

Sul fatto che le persone nei reparti covid muoiano da sole, senza contatti con la famiglia, Stefano Fagiuoli spiega che “questa è una cosa straziante anche per noi. Abbiamo chiesto al servizio di psicologia del nostro ospedale di stare al fianco del nostro personale. Cerchiamo di comunicare con le persone, con i parenti ma è straziante per tutti. C’è chi arriva e porta dei cambi, un telefono per scambiare qualche parole. Viviamo la sofferenza di chi desidera sapere qualcosa ma è terrificante. E’ una nuova dimensione del doloro alla quale non eravamo tutti pronti".

 

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