LA NUOVA TERRA PROMESSA DEGLI ITALIANI? LA ROMANIA. E IL MERITO E' DELLA FLAT TAX - OGNI GIORNO A BUCAREST E DINTORNI REGISTRATE 4 NUOVE IMPRESE A CAPITALE ITALIANO - NEI PRIMI 4 MESI DEL 2019 SONO STATE FONDATE 473 SOCIETÀ SOPRATTUTTO NEI SERVIZI E NEL TERZIARIO – SULLE PERSONE FISICHE ESISTE UNA FLAT TAX DEL 10% CHE RIGUARDA SIA I LAVORATORI AUTONOMI CHE I DIPENDENTI E PENSIONATI - L’INCUBO CINESE

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Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi per www.ilsole24ore.com

 

 

 

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Venticinque anni dopo l'assalto degli imprenditori veneti a Timisoara, la Romania è di nuovo la terra promessa per gli italiani. Ogni giorno nelle camere di commercio romene vengono registrate quattro nuove imprese a capitale italiano. Nei primi quattro mesi del 2019 sono state fondate 473 società per un capitale versato di 705.582 euro.

 

Dal 1991 all'aprile 2019 l'Istituto per il commercio estero (Ice) ha stimato l'arrivo di 47.841 imprese italiane in Romania (di cui 19.131 attive a fine 2018), pari al 20,94% di tutte le imprese straniere registrate. L'Italia è prima per numero di imprese, seguita dalla Germania, che però ci supera per patrimonializzazione. Nello stesso arco temporale, infatti, il capitale versato dalle imprese italiane è stato di 2,6 miliardi mentre la Germania, anche grazie alla spinta dell'automotive, ha immesso nelle proprie imprese rumene quasi 4,9 miliardi (si veda tabella).

 

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Mentre, però, le ondate che si sono succedute dopo la caduta del regime di Nicolae Ceaucescu erano caratterizzate dalla presenza di moltissimi avventurieri e gente sull'orlo del fallimento nel proprio Paese, oggi chi sbarca a Bucarest è strutturato e attrezzato per rimanerci. E mentre 25 anni fa il fenomeno era caratterizzato da delocalizzazioni spesso selvagge nel manifatturiero, oggi in testa alla corsa degli italiani ci sono servizi e terziario. Nel manifatturiero – a partire da tessile, meccanica e calzaturiero – resiste soltanto chi nel tempo ha investito e ha seguito l'onda dell'internazionalizzazione.

 

L’ondata veneta

Luca Serena, presidente di Confindustria Est Europa, l’associazione imprenditoriale che raccoglie le imprese italiane presenti nei paesi dell’area balcanica, è arrivato qui nel 1991 come responsabile del Consorzio export di Unindustria Treviso. «Mi fu detto: caro Serena, prendi la valigetta e vai in Est Europa per vedere dove si possono avviare nuove attività - spiega oggi l’imprenditore -. In quegli anni nel Nord-Est gli ordini volavano, non c'era manodopera e si rischiava di perderli a vantaggio dei concorrenti esteri. Individuai la Romania come paese più favorevole per una minor barriera culturale e linguistica rispetto ad altri paesi e perché era un luogo dove alcuni imprenditori avevano già cominciato a trasferirsi».

 

La dislocazione sul territorio

Società attive a partecipazione italiana in Romania. Ripartizione territoriale al 31 dicembre 2018. (Fonte: Elaborazione Agenzia ICE Bucarest su dati del Registro del Commercio)

 

Da quel momento, con l’apertura di un ufficio in Romania, Serena ha accompagnato le aziende venete a trovare façonisti a Timisoara. «Dall’Italia partivano semilavorati - continua Serena -, in Romania venivano effettuate alcune lavorazioni che poi venivano reimportate in Italia, dove venivano finite ed esportate nuovamente».

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Oggi Serena è presente in Romania con un’impresa di 60 dipendenti attiva nel taglio delle pelli destinate al settore dell’automotive e mantiene le aziende in Italia dove occupa complessivamente 220 persone.

 

 

Il regno della flat tax

Il fisco ha un ruolo non indifferente nel richiamare le imprese di tutta Europa in Romania. L'aliquota ordinaria sul reddito d'impresa è unica al 16% ma scende a un valore compreso tra l'1% e il 3% per le cosiddette microimprese, quelle che non arrivano a un milione di euro di fatturato. I dividendi non sono tassati in caso di distribuzione a persone giuridiche europee o romene che detengano almeno il 10% del capitale per un periodo minimo di un anno. In tutti gli altri casi la ritenuta sui dividendi è del 5%.

 

Anche royalties e interessi non sono tassati se il beneficiario effettivo è una persona giuridica europea che detiene almeno il 25% del capitale per almeno due anni. In tutti gli altri casi le ritenute salgono al 16%.

Sulle persone fisiche esiste una flat tax del 10% che riguarda sia i lavoratori autonomi sia i dipendenti e pensionati. Chiaro come questo sia un incentivo non da poco per chi decide di installarsi in Romania.

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In 25 anni la Romania ha cambiato volto e a raccontarlo sono gli stessi imprenditori italiani: tanto chi è rimasto quanto chi è arrivato da poco.

L'apice di questa grande corsa all'oro romeno è stato raggiunto nel 2001, quando gli industriali trevigiani decisero di svolgere la propria assemblea annuale nel teatro dell'Opera di Timisoara. Un luogo simbolo per la città – da qui partì la rivolta contro il dittatore Ceaucescu – e per il Veneto, di cui Timisoara diventava, di fatto, l'ottava provincia. Dieci anni fa, la grande crisi mondiale ha colpito anche l'imprenditoria italiana in Romania e poi, lentamente, è cominciata la nuova corsa oltreconfine. Ma con un nuovo dna.

 

 

 

Sul palco dell'Opera

Diciotto anni dopo il direttore dell'Opera di Timisoara, Cristian Rudic, ci guida all'interno del Teatro che ospitò l'evento degli industriali di Treviso. Insieme a lui Giulio Bertola, che in quel teatro, il 26 febbraio 2001 era presente con centinaia di colleghi imprenditori.

Per Rudic, Timisoara è la casa degli italiani e Bertola non fatica a riprendere il filo di questo discorso. «Si percepiva la grande opportunità che questo Paese offriva ai nostri connazionali – spiega – ma sui volti di molti imprenditori leggevo perplessità e dubbi, perché non era ancora chiaro a tutti in che modo seguire la scia aperta dai pionieri alcuni anni prima».

 

I pionieri

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Uno dei primi ad arrivare, nel 1994, è stato il trevigiano Aldo Roccon con la sua azienda Euroccoper, oggi patrimonializzata con 900mila euro, che si occupava di gestire le operazioni doganali. «Sono giunto qui con quattro computer più potenti di quelli dell'amministrazione statale – spiega – con i quali sdoganare le merci ai varchi. Liberalizzavano le dogane e pur non sapendo cosa fossero ho capito che poteva essere un lavoro interessante anche perché erano un punto nevralgico da cui tutti dovevano passare. La mia è stata la prima azienda italiana che ha avuto l'autorizzazione dal ministero delle Finanze romeno sostituendomi così all'unica azienda statale fino a quel momento esistente. Il primo scoglio che ho dovuto superare è stato quando mi hanno detto che non avrei potuto avere la rappresentanza non essendo cittadino romeno. Ho dovuto spiegare la differenza che passa tra persona fisica e persona giuridica».

 

Oggi Euroccoper gestisce varchi doganali, magazzini e centri logistici in una ventina di città romene oltre che in Serbia. Quando ha iniziato l'attività, Roccon lavorava il 60% delle dichiarazioni doganali della zona di Timisoara. «Solo di italiani avevo 2.600 clienti, la maggior parte dei quali provenivano dal Veneto – ricorda l'imprenditore -. Oggi di italiani ne servo pochi perché sono rimasti quelli più strutturati».

 

L’incubo cinese

Lo conferma anche Giovanni Favaron, imprenditore veneto titolare di Donna Shoes a Timisoara, arrivato qui nel 1991. «Quando sono arrivato in Romania non c'era neanche da mangiare. Mi portavo dei biscotti da casa, i negozi erano vuoti. Allora su cento imprenditori – afferma -, ottanta erano avventurieri. Con un milione di lire aprivano un'azienda e si sentivano dei signori».

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Lo spirito di Favaron era diverso. “In Italia non si poteva più lavorare perché i margini erano ridotti ai minimi termini. Allora siamo venuti qui - continua l'imprenditore -, abbiamo fatto un giro tra le aziende statali e abbiamo visto che le potenzialità c'erano. Sono rientrato in Italia, sono andato da tre o quattro grossi calzaturifici e sono tornato. Ho fatto delle prove di produzione in aziende statali, sono andate bene e questo mi ha dato la forza di aprire una mia società qui».

 

Donna Shoes ha cominciato l'attività a ottobre del 1992 ed è arrivata a produrre 1,2 milioni di paia di scarpe all'anno. Questi livelli sono stati conservati per 15 anni al punto che sono stati costruiti capannoni in grado di produrre fino a 2 milioni di paia di scarpe all'anno ma poi la grande crisi internazionale ha investito anche la Romania e ora Favaron si è attestato sulle 350-400 mila paia all'anno, con un fatturato di 4 milioni di euro.

 

«Oggi stiamo facendo i salti mortali perché i margini sono tornati a essere risicati – sottolinea -. Non so cosa stia succedendo ma i negozi in tutto il mondo non vendono più scarpe. Tiene solo il lusso. Siamo stati invasi dai prodotti cinesi. Un mio importante cliente si è visto offrire da un produttore cinese una sneaker perfetta a 19 dollari. Come fai a dire di no?».

 

 

 

La nuova ondata

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Con il nuovo millennio è cominciato a cambiare il volto dell'imprenditoria italiana in Romania. Sono arrivate le nuove generazioni, come testimonia Giuseppe Canale, a capo della G. Canale & C. Romania di Bucarest, che stampa libri e riviste per clienti che arrivano da tutto il mondo. Dopo tre generazioni in Piemonte, la famiglia Canale si è trasferita nel 2005 in Romania vendendo a inizio 2019 la vecchia impresa italiana a un grande gruppo veneto. Ora il cordone ombelicale con il Piemonte è stato tagliato e ci troviamo dunque di fronte all'ennesima impresa a capitale italiano che è ormai totalmente romena.

 

«In Italia un'azienda delle nostre dimensioni aveva difficoltà a battersi sul mercato. Siamo partiti con 50 dipendenti che producevano per il mercato locale soprattutto riviste – spiega Canale -. Abbiamo costruito due stabilimenti che si sono aggiunti a quello esistente. Con le vecchie maestranze italiane e i macchinari portati dal Piemonte abbiamo fatto formazione ai dipendenti romeni per la stampa di libri. Dopo un anno abbiamo cominciato a servire i mercati esteri compresi i nostri vecchi clienti italiani».

 

 

 

Le nuove leve

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Le nuove generazioni non hanno bisogno di tagliare le radici con l'Italia perché arrivano qui spesso senza un'impresa già strutturata nel paese di origine e avviano ex novo attività direttamente nei servizi, la nuova frontiera degli italiani che arrivano qui 25 anni dopo la prima ondata.

 

Lo testimonia Giacomo Billi, quarantenne toscano che nel maggio 2013 ha fondato la Alive Capital, società che gestisce impianti di energia rinnovabile in Romania ed è attiva anche nel trading energetico.

 

«Nel 2012, insieme ad altri 300 tra imprenditori, professionisti e consulenti, venni a seguire a Bucarest un convegno sulle opportunità che questo paese offriva – racconta Billi -. Arrivai qui con pochi euro in tasca e lasciando in Italia orologio e carta di credito perché si diceva che la Romania fosse un paese poco sicuro. Nulla di più falso, visto che oggi lascio la casa aperta e non è mai successo nulla. Il problema non sono i romeni, per la maggior parte affidabili, ma gli avventurieri che arrivano dall'estero».

 

L'anno dopo Billi è tornato a Bucarest per fondare la sua azienda. Oggi Alive Capital ha un fatturato di 52 milioni di euro, copre 1/45esimo del trading di energia del paese, pari a un terawatt, e ha registrato nell'ultimo anno un margine di profitto dell'11% sul giro d'affari. La sua società gestisce 90 impianti in Romania e impiega 17 persone, tra cui un italiano. «Il settore energetico rappresenta il 20% del prodotto interno lordo romeno – spiega Billi -, con un costo per megawattora di 50 euro contro i 250 in Italia».

 

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Tra le leve che spingono le nuove generazioni a venire in Romania il Fisco ha un ruolo importante. «Sono stato sottoposto a indagini fiscali chiuse positivamente in meno di tre mesi – afferma Billi – un tempo non paragonabile alle lungaggini burocratiche italiane. Qui l'Iva viene restituita dopo 30 giorni».

 

Fisco e burocrazia mettono d'accordo la nuova e la vecchia guardia. «Qui un'impresa si registra in tre giorni – spiega Roccon – e il rapporto con le agenzie fiscali non è ossessivo come in Italia. Con il fisco parli, discuti e anche quando vengono a fare i controlli non ti bloccano l'attività».

 

E il sindaco di Timisoara, Nicolae Robu, ricorda come la sua amministrazione abbia messo a disposizione degli imprenditori una struttura per risolvere i loro problemi burocratici.

 

matteo salvini al festival del lavoro 2 matteo salvini al festival del lavoro 2

L’evoluzione verso i servizi

«L’espansione nel settore dei servizi è abbastanza tipica anche in altre aree balcaniche - spiega il presidente di Confindustria Est Europa, Luca Serena -. L'industria è stata attratta inizialmente dal costo della manodopera più basso e la fase successiva è stata la produzione per il mercato interno. Questi due fattori, uniti all’arrivo dei fondi europei, hanno agevolato gli investimenti in infrastrutture che hanno attratto nuove imprese. Questo sviluppo industriale ha portato un’evoluzione verso i servizi che le imprese romene non erano in grado di assicurare».

 

 

La corsa alla sanità privata

Giulio Bertola è un manager di lungo corso. È stato tra i primi ad arrivare in Romania al seguito di imprese multinazionali. La sua vasta rete di rapporti lo ha portato a entrare nel campo dei servizi, prima con la sua società di comunicazione, poi nel settore della sanità. È stato lui a portare in Romania Mba, la più grande mutua sanitaria italiana per numero di associati.

 

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In Romania Mba vende piani di assistenza sanitaria privata, in un paese dove la sanità pubblica è indietro negli investimenti per l'adeguamento delle strutture. «Avviciniamo le famiglie alla sanità di qualità – spiega Bertola – e permettiamo agli associati anche le cure in Italia nella sanità privata. Uno dei problemi degli italiani che vengono a vivere in Romania e dunque obbligati a iscriversi all'Aire, il registro degli italiani residenti all'estero, è che perdono il diritto all'assistenza pubblica nel paese di origine. Questa mutua elimina il problema ed è aperta anche ai lavoratori romeni e alle loro famiglie».

 

La sanità in Romania fa gola. La famiglia De Salvo, proprietaria in Italia del Gruppo Policlinico di Monza, ha investito a Bucarest con lo Spitalul Monza, un ospedale all'avanguardia nella cardiologia.

 

«Oggi siamo il quarto gruppo privato sanitario del paese- spiega Luca Militello, Ceo del Grupul Monza Romania – e non temiamo la concorrenza. Continuiamo a investire perché nel paese la richiesta di assistenza sanitaria privata è in grande crescita. La domanda cresce perché è cresciuta l'economia. Quando sono arrivato qui 16 anni fa lo stipendio medio era di 150 euro, oggi nelle fabbriche è in media di 700-800 euro».

 

In 25 anni c'è stata una rivoluzione copernicana in Romania. E i pionieri che sono rimasti hanno un'ambizione. «Anzi - come spiega Aldo Roccon -, un'ossessione. Quella che l'azienda sopravviva a me stesso».

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