PARIGI IS BURNING – AUTO IN FIAMME, LANCIO DI FUMOGENI E SCONTRI CON LA POLIZIA ALLA “MARCIA DELLA LIBERTÀ” DI PARIGI: 46MILA PERSONE SONO SCESE IN PIAZZA PER PROTESTARE CONTRO LA VIOLENZA DELLA POLIZIA E L’ARTICOLO 24 DELLA NUOVA LEGGE SULLA SICUREZZA VOLUTA DA MACRON CHE VIETA DI FILMARE GLI AGENTI IN AZIONE - IL PREMIER JEAN CASTEX HA ANNUNCIATO LA CREAZIONE DI UNA COMMISSIONE INDIPENDENTE PER RISCRIVERE IL FATIDICO ARTICOLO, MA… - VIDEO

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Leonardo Martinelli per "La Stampa"

 

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Folti capelli crespi e i soliti occhi duri, Assa Traoré ieri alla «marcia delle libertà», nel cuore di Parigi, non poteva mancare. Suo fratello morì in condizioni sospette il 19 luglio 2016: per asfissia, recitava il referto, dopo essere stato placcato per strada dalla polizia nella banlieue.

 

Da allora Assa, la sorella maggiore, quasi una mamma per i fratelli (il padre era arrivato dal Mali in Francia, a fare il muratore), si batte per la verità. «Marciamo insieme per dire che vogliamo continuare a filmare i poliziotti con le telecamere dei nostri telefonini - spiega -. Ma soprattutto marciamo insieme per dire che la violenza della polizia deve cessare».

 

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Come lei, 46mila persone, secondo la prefettura, hanno sfilato per le strade della capitale, sotto un cielo azzurro, quasi rassicurante. Ironia della sorte, era il primo giorno di riapertura dei negozi, ora che il Covid sembra meno insidioso: una corsa liberatoria verso lo shopping per alcuni, la rabbia (tanta) in piazza per altri. In tutto il Paese hanno protestato in 133mila, con roghi, scontri e qualche ferito: le marce sono state indette contro una nuova legge sulla sicurezza voluta da Emmanuel Macron.

 

E in particolare contro l'articolo 24, che prevede un anno di carcere e una multa di 45 mila euro per chi renderà pubblica «l'immagine del volto o altri elementi identificativi» dei membri delle forze dell'ordine, quando questo può «pregiudicare la loro integrità fisica e psichica». Si vuole evitare la diffusione sui social di video e foto dai quali si riconoscano dei poliziotti all'azione e che in seguito possano essere minacciati e aggrediti.

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È una norma voluta fortemente da Gérald Darmanin, ministro degli Interni, transfuga della destra approdato dai macronisti (il suo modello è Nicolas Sarkozy, amico fraterno). Ebbene, le marce di ieri hanno assunto un altro significato dopo che, giovedì, in rete ha iniziato a circolare un video sul pestaggio di un produttore discografico, Michel Zecler, a Parigi, da parte di alcuni poliziotti, che non sapevano di essere ripresi da un sistema di videosorveglianza. Sono quindici minuti di botte e insulti razzisti, visti ormai più di dodici milioni di volte.

 

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Sì, i manifestanti di ieri protestavano anche contro questo razzismo violento delle forze dell'ordine. Tra di loro c'era Jean-Pascal Zadi, regista di «Tout simplement noir»: film di successo, una commedia autobiografica e ironica sul razzismo da lui subito. Ieri aveva poca voglia di ridere. «Dicono che quei poliziotti sono solo pecore nere - sottolinea -, ma non è vero. Il razzismo per la polizia è diventato un'ideologia. Quei quattro poliziotti devono pagare». Ieri sera erano ancora in stato di fermo. Intanto tutta la vicenda si sta trasformando in una crisi politica per Macron. La legge sulla sicurezza è già stata approvata in prima lettura dall'Assemblea nazionale e passerà all'esame del Senato in gennaio.

 

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Il premier Jean Castex ha annunciato la creazione di una commissione indipendente per riscrivere il fatidico articolo 24, ma sono stati gli stessi presidenti delle due ali del Parlamento a rigettare la possibilità: avete di fatto delegittimato il potere legislativo, dicono. Macron potrebbe ritirare l'articolo dal testo, ma Darmanin si sarebbe impuntato. Ieri alla manifestazione parigina (conclusa con qualche auto incendiata, scontri fra black bloc e poliziotti e 44 manifestanti fermati) era presente una ragazza di Evry, Agnès, pure lei nera.

 

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Il 17 ottobre scorso suo cugino, Olivio Gomes, è morto sotto casa. Ha ricevuto tre pallottole da una pattuglia di poliziotti, alla fine di quello che nel verbale è definito «un inseguimento della sua vettura ad alta velocità». «È falso, come indicano alcuni testimoni - dice Agnès -. Peccato non avere un video. Solo quelli ormai possono davvero salvarci».

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