paolo maurizio ferrari ex br no green pass

IL PIÙ IRRIDUCIBILE DEGLI IRRIDUCIBILI DELLE BR È DIVENTATO UN NO GREEN PASS - A GUIDARE LA PROTESTA A MILANO C’ERA PAOLO MAURIZIO FERRARI, "IL ROSSO”, 76ENNE EX TERRORISTA - IACOBONI: “S’ERA FATTO TRENT’ANNI DI GALERA, ERA USCITO, PER POI FARSI RIARRESTARE PER GRAVISSIMI DISORDINI NO TAV. DOVE C’ERA UN BASTONE, LUI ANDAVA. DOVE VEDEVA SECONDO LUI UN’INGIUSTIZIA, PIGLIAVA E PARTIVA. SENZA SCONTI, SENZA MAI PARLARE COI GIUDICI, SENZA MAI PENTIRSI, O DISSOCIARSI...”

Jacobo Iacoboni per “La Stampa

 

paolo maurizio ferrari no green pass

No, Paolo Maurizio Ferrari, "il rosso” (non perché comunista, ma perché aveva «i capelli rossi come un diavolo», disse un suo compagno tanto tempo fa), o semplicemente “Mau”, non è stato un brigatista qualunque.

paolo maurizio ferrari

 

Ieri, a reggere lo striscione d’apertura del corteo No Green Pass a Milano, c’era nientemeno lui, davvero incredibile Italia, il più irriducibile degli irriducibili delle Br, uno dei tre fondatori dell’organizzazione, che fu arrestato nella stessa stagione di Renato Curcio e Margherita Cagol, s’era fatto trent’anni di galera, era uscito, per poi farsi riarrestare sette anni dopo, nel 2011, per gravissimi disordini No Tav a Chiomonte, in Val Susa.

paolo maurizio ferrari a processo

 

Sono tutte storie diverse, lo sappiamo benissimo, ma lui aveva e ha ancora la voglia di entrare in tutte, elemento di un psaggio e testimone di staffette che forse ormai vedeva solo lui. L’Irriducibile.

 

Piazza Fontana, via Larga, corso Venezia, poi, dopo aver percorso corso Buenos Aires, piazzale Loreto, il corteo dei No Green Pass percorreva – certamente senza neanche più saperlo – nomi che sono di per sé un pezzo (spesso tragico) di storia d’Italia, e che chissà se risuonavano nella mente dell’anziano terrorista, ormai settantaseienne, che ha trascorso trent’anni, senza sconti, senza mai parlare coi giudici, senza mai pentirsi, o dissociarsi, o anche solo aprirsi, e meno che mai dare interviste ai giornalisti, quegli stessi giornalisti ai quali - ironia delle storia – ai cortei No Green Pass viene gridato «giornalisti terroristi/giornalisti terroristi».

 

brigate rosse

Ferrari è stato insomma uno dei personaggi più tenaci e incredibili della storia della lotta armata e dell’illusione della rivoluzione comunista in Italia, quel gigantesco autoinganno collettivo che dal mito dalla “Resistenza tradita” e delle armi partigiane sotterrate in montagna arriva ad armarsi a freddo contro lo stato, in quella che nonostante tutto era una democrazia.

 

E Ferrari a questa storia ci aveva creduto a tal punto da fottercisi la vita. Era stato arrestato a Firenze il 28 maggio del 1974, agli albori della stagione del terrorismo rosso, nelle prime Br – quelle Curcio-Cagol, appunto, non quelle di Moretti, Ferrari non ha compiuto personalmente reati di sangue – eppure il suo curriculum criminale racconta di quanto fosse già centrale nell’organizzazione: si era fatto ventun anni per reati di terrorismo più nove anni per la rivolta del 1979 nel carcere dell’Asinara, era stato accusato di aver partecipato al sequestro del sindacalista della Cisnal Bruno Labate, del dirigente della Fiat Ettore Amerio, e al sequestro del giudice Mario Sossi.

 

paolo maurizio ferrari 2

Tanti anni dopo, nel 2020, raccontò in un libro com’era stato catturato: «Vengo preso pochi giorni dopo la fine dell’azione Sossi. Il mio arresto è avvenuto in un modo semplicissimo: Sono andato in un posto dove non dovevo andare, senza gli accorgimenti necessari e nonostante questo sono riuscito anche a scappare. C'era la polizia lì, ma non l'avevo vista, avevo visto una macchina strana, sono entrato lo stesso. I poliziotti li ho sentiti salire e quando stavano per entrare nell’appartamento mi sono buttato fuori, loro erano solo due, erano in borghese, mi sono buttato in mezzo e sono riuscito a scappare.

 

paolo maurizio ferrari ex br

Ho fatto le scale di corsa, avevo ventott’anni e poi ho saltato un muro, ho attraversato un giardino e sono sbucato in un’altra via, poi sono salito sulla moto di un compagno - sai, all’epoca, ma anche adesso, compagni, compagne, li riconosci, non c'è bisogno di spiegarlo. Lui si è fermato, proprio bloccato. Sirene spiegate, è arrivata la pantera e mi hanno preso. Era maggio, erano le sette di sera, c'era la gente sul marciapiede che mi guardava, e ho detto: “mi sono rivendicato l'appartenenza alle BR”.

 

Alché i poliziotti mi sono saltati addosso, mi avevano già ammanettato, bloccato. Poi, da Firenze mi hanno portato a Torino, dato che il mandato di cattura proveniva dalla procura di quella città (che in questo era anche allora, come oggi, dispiegata più di Milano)». E lui alla fine dalle parti di Torino era tornato a vivere in questa sua vecchiaia.

 

Se ricordate i comunicati dei brigatisti letti nelle udienze del processo al nucleo storico delle Br, celebrato a Torino nel 1978 nella caserma La Marmora, ecco, quei comunicati li leggeva un tizio abbastanza spiritato coi capelli folti e fulvi, un colore così diverso da tutti gli altri, la barba e i baffi: Paolo Maurizio Ferrari.

 

paolo maurizio ferrari 1

Nel 2006, uscito di galera, era stato ricondannato nel maxiprocesso ai no tav per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011. Dove c’era un bastone, lui andava. Dove vedeva secondo lui un’ingiustizia, pigliava e partiva. Senza il minimo senso delle misure dell’ingiustizia e della violenza delle conseguenze, o delle sue stesse azioni.

 

Era nato anche lui (come Enrico Franceschini) in Emilia, ma non a Reggio (quelli del “gruppo dell’appartamento”), bensì a Modena, orfano di padre, cresciuto in comunità, poi il grande salto al Nord industriale, prima brevemente a Torino, alla Magneti Marelli, ma a Torino c’erano militanti che a lui apparvero sempre figli di papà, Lotta Continua, quindi a Milano, dove finì a lavorare (e fondare il collettivo operaio) in Pirelli.

 

In carcere non ha mai chiesto un permesso, e quando gliene davano uno, rispondeva laconico: «Io sono un prigioniero proletario. Non chiedo i vostri permessi». Franceschini, con cui forse sono stati davvero vicini, almeno per un periodo, disse una volta, quando Ferrari era dentro e si rifiutava di firmare qualunque atto che potesse abbreviargli la detenzione in carcere: «Dopo 30 anni di carcere l’ideologia diventa un alibi e intorno al suo ruolo politico di rivoluzionario irriducibile Ferrari ha costruito le sue abitudini. Anche il carcere diventa un’abitudine. Temo che si sentirebbe spaesato, non sarebbe più nulla. Per questo dico che potrebbe essere il primo a voler restare in carcere».

 

GUERRIGLIA NO TAV

Si sbagliava – a giudicare dalle successive gesta No Tav e No Green Pass di “Mau”. O forse no, e tutto fa parte dell’eterna coazione a ripetere di una tragedia personale e nazionale.

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