LA SANITÀ ITALIANA AL COLLASSO - ANNI DI TAGLI E LE GRAVI CARENZE DI PERSONALE NEGLI OSPEDALI STANNO MANDANDO IN TILT IL SERVIZIO DEL 118 - I TEMPI DI ATTESA PER LE AMBULANZE ARRIVANO FINO A 9 ORE, CON CONSEGUENZE ANCHE LETALI PER CHI HA BISOGNO DI ASSISTENZA - IN MOLTI CASI LA COLPA È LA PERMANENZA DEI PAZIENTI SUI MEZZI IN ATTESA DI RICOVERO, CAUSANDO FILE DI AMBULANZE DAVANTI AGLI OSPEDALI, MA ANCHE DI CHI CHIAMA IL SERVIZIO DI EMERGENZA QUANDO NON SERVE, MAGARI PER SALTARE LE FILE AI PRONTO SOCCORSO…

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Paolo Russo per “la Stampa”

 

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Prima il malore, poi la corsa in ospedale dal quale era stata dimessa da poco. Una nottata di dolori allucinati e la morte, dopo che la sorella minore, Rebecca, aveva chiamato quattro volte il 118, tra le 13,03 e le 15,29, per ottenere un’ambulanza, racconta la denuncia presentata alla Procura di Roma che ora dovrà stabilire le responsabilità. Paola Onofrei se ne è andata così, in casa propria in un quartiere della periferia romana, per un’ulcera duodenale perforata, ha stabilito l’autopsia. Un caso come tanti, troppi nell’ultimo anno.

ambulanza ambulanza

 

C’è la donna morta di infarto aspettando l’ambulanza arrivata dopo un’ora e mezzo. La 35enne spirata a Napoli appena arrivato il mezzo di soccorso, ma dopo 50 minuti d’attesa. C’è anche chi, come Marco a Roma, di ore ne ha aspettate ben 9 prima di essere richiamato dall’Ares 118 per sapere se il mezzo serviva ancora. Tra carenze di personale nelle centrali operative del 118, mezzi in fila davanti ai pronto soccorso intasati che per questo non riescono a «sbarellare» i pazienti e chiamate improprie le ambulanze si stanno sempre più impantanando, lasciando scoperta la prima linea della nostra sanità: quella dell’emergenza-urgenza.

 

AMBULANZA OSPEDALE AMBULANZA OSPEDALE

Le immagini dei mezzi in coda davanti ai pronto soccorso e che per questo non riescono a ripartire sono oramai sempre più frequenti in buona parte delle città italiane. A Roma questa estate di mezzi bloccati sotto il sole ce n’erano 60 in una sola mattinata. «In larga parte per colpa del cosiddetto boarding, ossia della permanenza dei pazienti in pronto soccorso oltre il necessario per la carenza di letti in reparto, dove dovrebbero essere trasferiti se non fossero stati tagliati 30 mila letti i 10 anni», spiega Fabio De Iaco, presidente di Simeu, la società scientifica dei medici di emergenza e urgenza.

 

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E se i mezzi non riescono a scaricare i pazienti è chiaro che nemmeno possono rimettersi in pista. In Italia i Lea, i livelli essenziali di assistenza validi in tutte le regioni, stabiliscono che dal momento della chiamata il mezzo di soccorso debba essere sul posto entro e non oltre 18 minuti. Indipendentemente dal colore assegnato in base alla gravità dell’intervento. E l’equipaggio deve essere pronto a salire a bordo in 120 secondi. In realtà, secondo un’indagine di Cittadinanzattiva, sette regioni avrebbero tempi medi superiori: 21 minuti la Valle d’Aosta, 19 il Trentino, 20 il Veneto, 22 l’Abruzzo, 23 il Molise, mentre in Basilicata si sale a 33 e in Calabria a 26.

 

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I numeri sono stati rilevati in epoca pre-Covid, ma ora sarebbero persino peggiorati proprio per l’intasamento ulteriore dei servizi generato dalla pandemia. E poi si tratta di medie, che nascondono picchi di attesa in più di un caso rivelatisi fatali. Come spesso succede nella nostra sanità, la situazione peggiora al Sud. Ma le cose vanno male anche nelle aree meno abitate e nelle località più difficili da raggiungere.

 

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Perché ce lo spiega uno che i problemi del soccorso in ambulanza li tocca con mano tutti i giorni, Andrea Andreucci, presidente Siiet, la società scientifica degli infermieri dell’emergenza territoriale. «Al Nord c’è un forte apporto del volontariato delle varie “Croci”, che funziona e consente di allargare l’offerta dei servizi. Il privato ci mette il soccorritore, l’azienda sanitaria pubblica i suoi professionisti».

 

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 Al Sud il privato resta invece ai margini e il servizio va ancora più in affanno. Ma a complicare le cose c’è anche la cattiva distribuzione dei mezzi. Un provvedimento di inizio 2000 ha stabilito infatti una dotazione di un mezzo ogni 60 mila abitanti, senza considerare come la popolazione è distribuita sul territorio. Perché a Milano significa dover coprire un quartiere, in Basilicata o in Val di Fassa chilometri e chilometri quadrati che non consentono di raggiungere chi ne ha bisogno entro i fatidici 18 minuti fissati per legge.

 

ambulanze ambulanze

Spesso si è sentito accusare dei ritardi il 112, che poi smista le chiamate ai Carabinieri così come al 118 sanitario. «Ma le cose non stanno così, dopo due squilli rispondono e ti passano la centrale operativa del 118 dove avviene l’intasamento, perché manca il personale, ma anche per colpa di chi chiede l’ambulanza quando non serve, magari illudendosi così di saltare la fila arrivati in pronto soccorso», spiega Andreucci. Lo farebbero metà delle persone che chiamano, secondo le stime della Siiet.

 

AMBULANZA CROCE ROSSA AMBULANZA CROCE ROSSA

«Usano l’ambulanza come un taxi, l’altro giorno ha chiamato un ragazzo che aveva preso un colpetto al dito del piede giocando a calcetto e ha preteso di farsi portare in ambulanza. Potresti lasciarlo lì ma se poi il dolore al dito nasconde un’ischemia che fai?». A peggiorare le cose ci si è messo anche il Covid, perché ogni volta che si trasporta un positivo poi occorrono 20 minuti per sanificare il mezzo. «Che diventano due ore e passa quando l’igienizzazione la si fa in centrali di sanificazione che magari distano 40 km dall’ospedale», denuncia sempre Andreucci.

 

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Un falso problema, secondo i direttori generali delle Asl e la stessa Siiet, è invece il l’assenza del medico a bordo. Così è per sette mezzi su 10. In alcune realtà anche di più. «Il medico in ambulanza serve ormai nel 3, massimo 5% dei casi più gravi, per il resto con la formazione specialistica che ho li so trattare benissimo io», mette in chiaro Andreucci. Con o senza medici serve però che qualcuno tiri fuori le ambulanze dal pantano dove anni di tagli alla sanità le hanno fatte finire. —

 

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