Cinzia Leone per “Il Foglio”
papa bergoglio sposa venti coppie di conviventi a san pietro 8
Chi li chiama ricordari, chi madonnari e chi addirittura peromanti, ma il loro nome è urtisti, da quel piccolo urto che i loro padri, e prima ancora i loro nonni, con la cassetta piena di santi, papi, madonne e rosari, portata al collo con una cinghia di tela, davano ai pellegrini di piazza San Pietro per attrarre l’attenzione. Una toccatina per attaccare discorso, per vendere un ricordo e ricominciare la danza: con qualche lira in tasca in più e una statuetta del Papa di turno in meno.
Il nome non è l’unica curiosità di questo mestiere curioso. Una curiosità che è sotto gli occhi di tutti ma che pochi conoscono. I centododici urtisti romani sono tutti ebrei. Tutti meno uno: Fabio Gigli, cristiano, quarantenne laureato in Scienze politiche, che ha ereditato la licenza dal nonno che l’aveva acquistata da un venditore di souvenir di religione ebraica. Un imbucato in un mestiere per tradizione monopolizzato dagli ebrei?
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Niente affatto, Gigli è il presidente della loro associazione. L’urtista è un mestiere identitario e con una raffinata origine teologica che risale alla fine dell’Ottocento quando, con una concessione papale viene permesso ai soli ebrei, ancora chiusi nel ghetto, di vendere rosari ai pellegrini. Risolvendo così, con un colpo d’ingegno, l’intricato problema di diffondere le immagini sacre, che esponeva i cristiani al peccato di simonia, affidandolo agli ebrei romani: la comunità più antica della Diaspora.
Così, per più di un secolo, il popolo a cui la Legge proibisce le immagini religiose vende nella capitale della cristianità l’immagine della fede dei “fratelli minori”. Soluzione teologica geniale per i papi. E anche per gli ebrei di Roma. Scorrendo i nomi delle licenze degli urtisti, troviamo tutti i cognomi storici degli ebrei romani: Zarfati, Di Veroli, Terracina, Sermoneta, Di Segni, Piattelli. Ma tra loro usano soprannomi fantasiosi: Gastone, il Polacco, Celletto, Sapone e varechina, Cavallo, Cagnolino, Mugnetta, Pipino.
“Sono uno degli ultimi ad aver lavorato a urto. Se non fosse per i rosari, nel Dopoguerra sarei morto di fame”, Misano, classe 1951, occhi azzurri in una faccia abbronzata alla Paul Newman, racconta un mestiere duro, tutto talento e colpi di genio. “Fino agli anni 70 c’era il divieto di posare sul suolo pubblico lo schifetto, la cassetta piena di souvenir che eravamo costretti a portare sempre al collo. Ma noi avevamo inventato uno stratagemma: una zampa di metallo pieghevole che puntata sull’asfalto ci permetteva di avere le mani libere durante la vendita e persino di riposarci un po’”.
Senza contare che al momento giusto gli urtisti sapevano fare squadra e con quattro schifetti uniti si trasformavano in una bancarella collettiva in grado di attrarre i pellegrini senza violare la legge. “Noi siamo molto di più che venditori di cianfrusaglie e paccottiglia, come molti ci accusano”, dichiara orgoglioso Devid Di Segni, 36 anni, laureato in Scienze politiche ed erede di tre generazioni di ricordari. “Noi siamo parte della storia della capitale e della comunità ebraica di Roma. Per fare questo mestiere bisogna avere la memoria nel Dna”.
Chi meglio del popolo della Memoria per vendere ricordi. Il Borsino dei papi I venditori di souvenir della capitale hanno un osservatorio unico sull’avvicendarsi dei papi. Il calendario degli urtisti si modella sulle scadenze religiose della cristianità: le udienze papali, l’Angelus, l’Anno Santo, e poi ci sono le beatificazioni… Prima i santi o prima i santini? Prima di tutto i papi.
Il decano degli urtisti Massimo Misano, che nella sua vita di papi ne ha visti passare cinque “e io sono ancora qui”, stila la sua classifica: “A Paolo VI, commercialmente, do un bel 7, ma bisogna considerare che negli anni 70 c’era il boom dei turisti americani. A Papa Luciani non si può dare che un “non classificato”. Poteva essere un altro Bergoglio, ma è durato troppo poco e con lui molta merce è rimasta invenduta. A Wojtyla regalo un 8 pieno, è stato un maestro nella comunicazione. A Ratzinger invece un 4, non ha richiamato nessuno. A Papa Francesco do un 8. Con lui c’è stato un risveglio delle coscienze”.
Devid Di Segni con i suoi trentasei anni, di papi ne ricorda meno, ma stila anche lui la sua classifica: “A Wojtyla un 10 spaccato, è stato l’uomo del secolo”. E a Ratzinger? “E’ un uomo colto e discreto. Sarei un ipocrita a sostenere che non amo i papi con appeal mediatico, con loro il lavoro gira di più, ma io preferisco le personalità riservate e discrete. Quindi a Ratzinger do un 7 abbondante, anche se commercialmente merita 4. Con lui, il mercoledì delle udienze papali era diventato un giorno quasi normale e la domenica all’Angelus la piazza si riempiva poco o niente. Con il combinato disposto di Ratzinger e della crisi economica mondiale noi abbiamo rischiato la chiusura”.
Ratzinger non ha trascinato le vendite e gli urtisti non dimenticano il dicembre del 2006 quando, per garantire il decoro a piazza San Pietro, la più importante del cattolicesimo, il Papa tedesco li sfratta. Anche se, dopo le proteste, il divieto rientra rapidamente. Le dimissioni di Ratzinger, come la morte improvvisa di Papa Luciani, complicano la vita ai venditori ambulanti di souvenir. La fumata bianca porta sempre affari ma può mietere vittime tra gli urtisti.
Per fortuna con Bergoglio ripartono le vendite. Cosa succede quando viene eletto un nuovo Papa, i souvenir con l’effigie del vecchio si rottamano? “Un secondo dopo l’‘Habemus papam’, le fabbriche sparse per il mondo si mettono in moto”, racconta Di Segni. “I primi giorni dopo l’elezione di Papa Francesco in giro non c’era nulla e chi ha avuto i primi rosari con il volto del Papa argentino ha fatto buoni affari. In magazzino qualche souvenir con il vecchio Papa però io lo conservo sempre. Ci sono sempre i collezionisti e gli intenditori…”.
Quanto vendono i papi non più in carica? “Dall’elezione di Bergoglio di rosari con l’effigie di Ratzinger ne avrò venduti una decina, mentre di Wojtyla un centinaio. Giovanni Paolo II si è venduto molto anche durante il papato di Benedetto XVI. Ma di Papa Francesco ne ho già venduti più di mille. Anche se, dopo il boom dell’elezione, le vendite si sono stabilizzate”.
LA GRANDE BELLEZZA PIAZZA NAVONA PIENA DI AMBULANTI DAL SITO ROMA FA SCHIFO
Il borsino degli urtisti restituisce flussi economici stringenti e rivelatori. “Con Francesco i romani hanno riscoperto il Papa” commenta Gigli, presidente di urtisti A1, l’associazione che raccoglie i venditori con le postazioni di pregio come il Vaticano e il Colosseo, mentre agli urtisti A2, quella di cui fa parte Devid Di Segni, spettano piazza di Spagna, piazza Navona e il ponte di Castel Sant’Angelo. Forza fisica, parlantina e seduzione. Sempre in strada, dall’alba al tramonto, anche il sabato e la domenica, con il caldo cocente d’estate e il freddo d’inverno, quello del venditore di souvenir è un mestiere ondivago, meteoropatico e stagionale. E molto logorante.
“Non ho mai visto nessuno abbronzato sul viso e sulle braccia come mio nonno Pellegrino Di Segni. Ma nessuno sotto la camicia aveva la pelle più bianca di lui. E’ stato cinquant’anni sotto il sole ma in cinquant’anni non è mai stato al mare”, ricorda Di Segni, anche lui con la pelle cotta dal sole. C’è l’Anno Santo e ci sono i buoni affari, ma per gli urtisti c’è anche l’inverno, duro e qualche volta catastrofico. Con la brutta stagione calano le vendite e per far fronte agli impegni qualcuno rischia di dover impegnare l’oro al Monte di Pietà.
“Sono un ebreo osservante e da ragazzo avevo studiato al collegio rabbinico”, racconta il decano Massimo Misano. “La mia era una vocazione ma, come mi disse un rabbino, ho preferito una tremolante bancarella alle tiepide mura del collegio”. Il papà non era urtista, faceva il cameriere. Era stata la madre a ereditare la licenza da suo padre, Giacomo Terracina, titolare dal 1911. “Mamma diceva sempre: ‘Se mandavo mio marito nella fossa dei leoni degli urtisti, se lo mangiavano subito’. Così fu lei a mettere al collo la cassetta dei souvenir e a diventare la prima donna urtista della capitale. La chiamavano tutti ‘la Signora’, e quando per prenderla in giro, e perché la temevano come concorrente, gli altri urtisti le dicevano ‘perché non vai a fare la calzetta?’, lei rispondeva: ‘Io sono qui e tu sai cosa faccio, mentre tua moglie io non lo so cosa sta facendo’.
Mia madre tra gli urtisti era famosa e così nel ’73, quando io ho cominciato, ero per tutti ‘il figlio della signora’. Poi finalmente, negli anni 80, ho avuto la mia bancarella”. La resistenza fisica al venditore di souvenir non basta. A descrivere il profilo ideale dell’urtista è sempre il decano Misano: “Paziente, disponibile, con la parlantina sciolta, un pizzico di psicologia, e molto fascino. Il venditore di souvenir è soprattutto un seduttore”. Regola numero uno, conoscere le lingue. Misano parla correntemente inglese, francese, spagnolo, tedesco ed ebraico. E quando con Wojtyla sbarcano nella capitale i pellegrini polacchi, gli urtisti imparano a masticare un centinaio di parole anche in quella lingua.
I flussi turistici cambiano e gli urtisti si attrezzano. “Io so dire ‘grazie’ in una ventina di lingue, compreso il turco e il norvegese”, risponde pronto Devid Di Segni. Gli toccherà imparare anche il russo e il cinese? La lingua universale dell’ambulante, quel gramelot parlato da Pompei a Venezia passando per Capri e Lourdes, lo conoscono tutti alla perfezione. La vertigine del kitsch Figli di una religione che vieta l’utilizzo delle immagini sacre, gli urtisti vivono in un bazar di sacralità altrui. In una vertigine di pop-kitsch globalizzato, allineano statuette, tazze, apribottiglie, ventagli, calamite da frigo con papi, santi e madonne.
I FEDELI A PIAZZA SAN PIETRO PER I PAPI SANTI
Se la cultura di massa ha ridisegnato le coordinate dell’estetica moderna, il turismo low cost la colora con pittura fosforescente. Ma è più kitsch il castello di Ludwig di Baviera o quello della regina Grimilde di Disney? Beh, è lo stesso castello. Le stratificazioni della storia della capitale complicano l’intreccio e moltiplicano le possibilità. Gli urtisti non stazionano solo al Vaticano, ma, a rotazione, davanti ai più importanti monumenti romani. E al cambio turno, le proporzioni tra sacro e profano si invertono. Spuntano il Colosseo, Giulio Cesare, don Vito Corleone e t-shirt con il logo “The Grandfather”. Se dell’Italia tutti conoscono Papa, mafia, Ferrari e pizza, non è di certo colpa degli urtisti.
A fare la parte dei mercanti del tempio del cattivo gusto e del kitsch tocca proprio agli ebrei? “Il gusto non è il nostro, è del mercato”, sottolinea Di Segni. “Ho provato a mettere in mostra eleganti rosari d’argento, ma non andavano. Alla massa piace il kitsch. Noi urtisti non vendiamo solo trash, ma il trash è quello che vende di più. E’ così anche a Lourdes, non solo a Roma”. Il decano Misano, con sano pragmatismo, taglia corto: “Il kitsch è sempre andato di moda. Chi vuole un souvenir non lo vuole firmato Armani”. Armani se ne farà una ragione.
Le leggi razziali e il ritiro delle licenze Con le leggi razziali, nell’autunno del ’38, gli ebrei devono diventare “invisibili”. Quelli che lavorano nell’amministrazione pubblica sono cacciati dagli uffici e dall’università. I divieti sono per tutti gli ebrei, infiniti e umilianti: gli è proibito pubblicare annunci funebri sui giornali, conservare il proprio nome nell’elenco telefonico, frequentare luoghi di villeggiatura, lavorare nel mondo dello spettacolo anche come operai e macchinisti. Gli ebrei non possono fare l’ostetrica, l’infermiera o l’amministratore di condominio e persino l’affittacamere. Non possono avere il brevetto di volo, non possono accedere nei locali delle Borse e nelle biblioteche pubbliche.
Eliminati dai libri scolastici i testi scritti da ebrei, cancellati dalle strade i nomi di ebrei illustri, raschiati dalle lapidi degli ospedali o delle scuole i nomi di benefattori ebrei. I cittadini di religione ebraica vengono accuratamente schedati, registrati, contati dalle prefetture, dalle questure, dalle amministrazioni comunali e dagli uffici locali del Fascio. Per un breve periodo ai venditori ambulanti ebrei viene permesso di continuare a lavorare, ma con indosso una divisa e sul berretto l’acronimo: Sfva (Sindacato fascista venditori ambulanti). Il 30 luglio del 1940 con la circolare 54299 viene ritirata la licenza agli ambulanti ebrei di tutta Italia. Le leggi razziali azzerano la vita e il lavoro.
papa francesco in piazza san pietro
A Roma, in quegli anni drammatici, esercitano la professione oltre 800 commercianti ebrei, pari al 75 per cento dell’intera categoria romana. E’ la fame. Dopo le proteste delle autorità ebraiche dietro intervento diretto del Duce, sarà concessa una proroga di pochi mesi per consentirgli la liquidazione della merce in giacenza. Ai ricordari ebrei non resta che la vendita abusiva di sigarette di contrabbando, sapone da barba e lucido da scarpe ai soldati tedeschi. Meno rischioso mandare in strada a vendere i bambini e le donne.
Poi la tragedia della guerra e la razzia del ghetto. Dei 1.259 ebrei romani catturati il 16 ottobre ne tornarono solo 12. Due erano urtisti: Raimondo De Neris e Settimio Piattelli. La concorrenza degli abusivi Con il Dopoguerra e gli Alleati, gli affari dei venditori di souvenir ripartono. Gli urtisti imbottiscono i soprabiti di merce, rimettono al collo lo “schifetto” e tornano in strada. C’è merce nuova: le diapositive kodachrome da srotolare davanti agli occhi dei soldati inglesi e americani, gli orologi e qualche cameo venuto da Napoli per i generali.
BERGOGLIO SALUTA PIAZZA SAN PIETRO DOPO LELEZIONE
Dall’alba al tramonto esposti alle intemperie, gli urtisti ricominciano a vivere. “Ma solo negli anni 80 l’attività sarà pienamente regolamentata”, racconta Fabio Gigli. Difficile trovare davanti al Louvre una statuetta di Napoleone o della Gioconda, mentre in Italia il souvenir piace. “Anche Firenze e Venezia sono piene di souvenir, ma in confronto alla capitale sembra di essere in Svizzera. E i magneti che a Roma vendiamo a uno, o due euro, a Firenze e a Venezia li vendono al doppio”. “Noi siamo gli occhi della strada”, aggiunge Devid Di Segni. Trattiamo ogni giorno con i turisti, ma anche con ladri, abusivi e poliziotti. Siamo un ufficio informazioni e un pronto soccorso e spesso il nostro banco si trasforma nel lettino dello psicoanalista”.
“Siamo l’argine ai vucumprà. Le sentinelle e la diga al degrado. Ma la diga – secondo Massimo Misano – sta franando”. Accanto al colonnato del Vaticano o al Colosseo, a piazza Navona o a Castel Sant’Angelo, i banchi di urtisti con regolare licenza sono assediati da una pletora di ambulanti abusivi. Un esercito di irregolari con merce scadente o contraffatta, prezzi fuori mercato, niente fisco e nessuna regola. Le forze dell’ordine spesso chiudono un occhio, ma mettono a segno anche clamorosi sequestri di merce illegale.
Lo scorso aprile la Guardia di Finanza ha scoperto un centinaio di scatoloni con 700 mila souvenir contraffatti con l’effigie di Papa Francesco e dei santi Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. La merce sarebbe stata venduta ai fedeli in arrivo nella capitale a un prezzo inferiore rispetto a quello dei prodotti originali, fruttando ai contraffattori non meno di 3 milioni e mezzo di euro. Il malaffare, scavalcando gli urtisti, gioca di anticipo anche sul borsino dei santi. E molla patacche.
PIAZZA SAN PIETRO ATTESA PER IL NUOVO PAPA
Con l’ultima delibera, nella capitale, aumentano le tariffe sul suolo pubblico, triplicata quella degli urtisti che da generazioni lavorano in strada e sono i primi a soffrire il proliferare dell’abusivismo. A Roma le nuove normative antidegrado restringono gli spazi degli ambulanti. Cosa c’entrano gli urtisti, le carrozzelle e i gladiatori, tre mestieri capitolini legati al turismo che annoverano molti ebrei, con i giganteschi camion bar che atterrano come navicelle spaziali accanto ai monumenti?
Con il turismo “mordi e fuggi” le vendite calano, di quanto? “Almeno del 40 per cento” per Gigli. “Rispetto agli anni 70 il lavoro è più che dimezzato”, e continua raccontando del suo incontro con Diego Della Valle davanti al Colosseo. “Si è avvicinato al mio banco e ha detto: ‘Bella roba’. Gli ho garantito che era tutto Made in Italy e lui ha scelto un Colosseo di polvere di marmo da 200 euro. Ma io i 200 euro glieli ho restituiti”. Peccato. Di statuette del Colosseo di marmo Della Valle poteva comprarne quante ne voleva. Tutte candide e nuove di zecca. Senza bisogno di restauro.
PIAZZA SAN PIETRO ATTESA PER IL NUOVO PAPA
Anche il turista è cambiato. “Ai tempi di mio nonno – ricorda Di Segni – a Roma potevi anche provare a vendere la Fontana di Trevi come Totò, ma oggi anche il turista è diventato più accorto”. Il futuro? “Nonostante la laurea in Scienze politiche, ho voluto continuare la tradizione di famiglia. Ma penso che tra cinquant’anni questo mestiere non ci sarà più. Gli abusivi ci stanno distruggendo: vendono gli stessi souvenir senza licenza e senza pagare le tasse”.
Sotto il sole ancora caldo dell’ottobre romano Devid deve tornare al suo banco di souvenir. Quest’anno, niente vacanze? “Sono stato una settimana in Belgio per un tour di abbazie”. Ma allora è una mania? “Ma no, vado solo pazzo per la birra”. Prima di scomparire inghiottito da un’orda di turisti, mi ricorda di scrivere bene il suo nome: “Mi raccomando, Devid e non David. Hanno sbagliato quelli dell’anagrafe, ma ormai mi sono affezionato all’errore”. Anche quello è un souvenir