Massimo Murianni per “Novella 2000” - Estratti
INTERVISTA A PUPI D ANGIERI BY NOVELLA 2000
Trent’anni fa, il 13 settembre 1993, alla Casa Bianca, il primo ministro israeliano di allora Ytzhak Rabin, e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Yasser Arafat, firmarono gli accordi di Oslo davanti al presidente americano Bill Clinton.
Era la prima volta che Palestina e Israele si riconoscevano come interlocutori ufficiali, la prima volta che i due leader si stringevano la mano in pubblico, il primo passo verso una pace che poi, purtroppo, non si è concretizzata.
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Le trattative furono condotte in una villa a Oslo, in Norvegia, di qui il nome. Gli israeliani riconobbero l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina come autorità del popolo palestinese, e le riconobbero il diritto di governare su alcuni dei territori occupati. L’OLP riconobbe allo stato di Israele il diritto di esistere, e rinunciò formalmente all’Intifada, cioè la lotta armata per la creazione dello Stato palestinese. L’anno successivo ad Arafat, a Rabin e al ministro degli Esteri Perez fu assegnato il Nobel per la Pace. Trent’anni giusti dopo quello storico evento, la pace è quanto mai lontana. Cosa è andato storto? Lo chiediamo al diplomatico Nunzio Alfredo d’Angieri, detto Pupi, oggi ambasciatore per gli Affari europei del Belize, che per oltre vent’anni è stato consigliere e negoziatore di Yasser Arafat.
Eccellenza, come ha conosciuto Arafat?
«Durante una missione di lavoro in Libia, per trattare come avvocato un contratto per la Texaco, ho incontrato un vecchio amico, mio compagno di stanza nel collegio svizzero Rosenberg dove ho studiato, che era diventato il capo di gabinetto di Arafat. Mi portò da lui, che all’epoca stava in un bunker in Libano. Da allora, per 22 anni, ho lavorato come consigliere e negoziatore per Yasser Arafat».
Ha partecipato alle trattative che hanno portato agli Accordi di Oslo?
«Sì. Arafat e Rabin volevano la pace, avevano l’obiettivo di costruire un equilibrio tra due popoli in lotta da oltre 40 anni. Quando andai la prima volta da Rabin, mi sentivo forte della mia posizione di rappresentante di Arafat, ma lui chiarì subito la linea: “Serve riflessione, mettere da parte l’aggressività, analizzare la situazione senza rinfacciarci il passato, e partendo da qui trovare una soluzione”».
Anche Arafat era per la trattativa?
«Arafat era un leader che pensava al suo popolo, conosceva la sua gente. Voleva la pace, e sapeva tenere a bada gli estremisti che spingevano per la lotta armata. Odiava il terrorismo lo ha sempre detestato. Era un uomo estremamente intelligente, laureato in ingegneria, e sapeva dialogare e muoversi a livello internazionale».
A cosa si riferisce?
«Era rispettato da tutti i Paesi occidentali, ma aveva una peculiarità: non si muoveva senza prima aver parlato con Papa Giovanni Paolo II. Gli accordi di Oslo furono anche il risultato dell’operato del Papa e il suo peso politico. Uno degli obiettivi finali era la creazione di Gerusalemme città aperta, un territorio sacro a tre religioni che diventa luogo di dialogo. Un simbolo fortissimo per la pace».
Giovanni Paolo II accolse Arafat in Vaticano nel 1982, quando ancora gran parte del mondo considerava l’OLP una realtà terroristica.
«Papa Wojtyla era un grande visionario, c’era un rapporto sincero tra loro. Nel 2002, accompagnai Arafat in Vaticano, e davanti a me lo sentii dire al Papa: “Sono venuto da lei, Sua Santità, per l’ultima volta, a salutarla”. Il Papa sgranò gli occhi e chiese perché, Arafat rispose: “Perché Sharon (presidente israeliano, ndr) mi farà uccidere”. E così è stato. Giovanni Paolo II aveva gli occhi lucidi e disse “Pregherò per te amico mio”».
Perché si è interrotto il processo di pace avviato da Arafat e Rabin?
«Perché gli ebrei non hanno rispettato gli accordi. Non hanno mai fatto la strada che univa Gaza da West Bank (in Cisgiordania) e mai hanno permesso che Gerusalemme Est diventasse capitale della Palestina. E questo ha dato potere agli estremisti Palestinesi che si opponevano ai processi di pace».
Si riferisce ad Hamas, l’organizzazione palestinese che oggi detiene il potere a Gaza, ed è responsabile dell’attacco terroristico contro i civili in Israele che ha scatenato la guerra attuale?
«Quella di Hamas è stata una reazione di insofferenza. Arafat, ripeto, sapeva tenerli a bada. Mancato Arafat da una parte, e morto Rabin dall’altra, assassinato da un estremista di destra ebreo nel 1995, sono mancati i leader che credevano nel dialogo. E ancora oggi mancano».
Parla sempre di ebrei, mai di israeliani. È come se qualcuno ci chiamasse cattolici e non italiani.
«Mi sembra più corretto così. Israele non è un popolo, il popolo è Ebreo, la terra di Israele è una invenzione politica relativamente recente. Si trova facilmente il video di un’intervista a Golda Meir, del 1970, nel quale lei, presidente di Israele, dice testuale: “Io sono palestinese” e aveva passaporto palestinese».
Sarebbe un bel punto di partenza per un nuovo processo di pace.
«Per la pace servono leader capaci. E serve una politica internazionale che disarmi gli estremisti sul nascere».
Il terrorismo di Hamas è nemico della pace, e oggi per le loro azioni di morte paga il popolo innocente, dei Palestinesi a Gaza e degli Ebrei, così come a causa delle azioni militari di Israele muoiono innocenti civili, sia israeliani che palestinesi.
«I terroristi che colpiscono l’occidente in ogni posto non sono militari che partono da Gaza, sono immigrati che si radicalizzano perché vengono emarginati dalle nazioni in cui vivono».
(...)
La guerra è colpa di noi occidentali?
«Questa è una guerra creata dall’Occidente perché non ha fatto in modo che il popolo Ebreo abbia la sua terra, come pure il popolo Palestinese deve avere la sua terra. Speriamo che Papa Francesco voglia e possa far valere la sua posizione in prima persona, perché gli inviati non sono mai serviti. Questa è storia non fantasia».
pupi d'angieri PUPI D'ANGIERI CON PAPA FRANCESCO