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NEL PD SI PENSA GIÀ AL DOPO-SCONFITTA - DA GORI A BONACCINI, TUTTI I NEMICI DI ZINGARETTI SCALDANO I MOTORI (DI MAIO COMPRESO) - LA COSA PIÙ AVVILENTE PER I DEM È CHE AL NAZARENO SI CONSIDERA UNA VITTORIA LA TENUTA DI TOSCANA E CAMPANIA, PUR PERDENDO MARCHE E PUGLIA. SE INVECE DOVESSE CADERE IL FORTINO, LA CAMPANIA NON BASTEREBBE: DE LUCA È TUTTO TRANNE CHE UN SOSTENITORE DI ZINGARETTI

 

1. DA DI MAIO A GORI: LA LISTA DEI NEMICI DI ZINGARETTI

Salvatore Dama per ''Libero Quotidiano''

 

Chi trama contro il Pd e contro il governo «esca allo scoperto». E dica chiaramente che «vuole andare al voto» con questo sistema e con questa legge elettorale. Nicola Zingaretti è una persona mediamente placida. Ma nelle ultime ore gli devono essere girate parecchio le scatole. Vede nemici. Nemici ovunque.

 

Nella maggioranza, ma soprattutto nel suo partito. C' è qualcuno che sta avvelenando i pozzi, che agita polemiche. Ma queste, si sfoga il segretario democratico in una lettera inviata a Repubblica, rischiano di mettere a repentaglio la tenuta dell' esecutivo stesso.

NICOLA ZINGARETTI A MILANO

I problemi sono tanti: la riapertura delle scuole, la crisi economica, la gestione dei fondi europei, l' immigrazione. E il turno elettorale del 20 e 21 Settembre potrebbe essere l' occasione utile agli avversari interni di Zinga per presentare il conto. Specie se le Regionali dovessero andare come indicano i sondaggi.

 

Cioè, male per la sinistra. Inoltre c' è il tema del taglio dei parlamentari. Una riforma che i dem hanno votato, solo in ultima battuta, e obtorto collo. Avevano ottenuto rassicurazioni dai Cinquestelle: prima della data del referendum confermativo sarebbero arrivate le riforme della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari. Non è andata così. Adesso il leader piddino vuole schierare il partito in favore del Sì, ma ci sono tanti distinguo.

Troppi. Che fanno perdere di credibilità alla sua leadership.

Insomma: dovessero mettersi male le cose, da qui a qualche settimana, il derrière più esposto alle intemperie sarebbe proprio il suo. Quello del governatore della Regione Lazio.

 

VOCE GROSSA

L' ala polemica è sempre più ampia, nel Pd, per un motivo o per un altro. In essa vanno sicuramente annoverati i capigruppo alla Camera e al Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci. Il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Il "partito dei sindaci" capitanato da Giorgio Gori (Bergamo) e Giuseppe Sala (Milano). E fuori dal perimetro democratico le cose non vanno certo benissimo con Luigi Di Maio e Matteo Renzi.

 

A questo senso di accerchiamento, Zingaretti ha risposto facendo la voce grossa: cresce «uno spirito polemico contro il Pd e contro la scelta del sì» dietro cui c' è «un' insofferenza verso il governo, la maggioranza e il lavoro svolto». Tutto ciò «è assolutamente legittimo», premette Zinga, «ma sarebbe meglio che chi lo pensa avesse il coraggio di dirlo, assumendosi la responsabilità delle successive conseguenze».

 

ZINGARETTI E DE LUCA

Se si vuole indebolire il Pd e il governo «si chieda apertamente la fine di questa esperienza. Si dica che si preferiscono le elezioni politiche con questa legge elettorale o il ritorno ad ipotesi di un governo di tutti che inevitabilmente umilierebbero ancora una volta la politica». Per il governatore del Lazio, «non è più possibile sopportare l' ipocrisia di chi agisce per destabilizzare il quadro politico attuale».

 

QUANTE GRANE

Lo stillicidio però è quotidiano. Sui temi più vari. Per esempio, c' è Delrio che l' altro giorno piantato una grana sul Mes con i Cinquestelle («Non utilizzare subito quei soldi è uno spreco»), sapendo che i grillini su quel tema sono categorici. Non ne vogliono sentir parlare. Oppure c' è il diversamente renziano Marcucci che, sempre nelle ultime ore, ha preso di mira il ministro Lucia Azzolina.

 

C' è il sindaco Gori. Che da mesi critica la segreteria e il governo. E pure lui ha recentemente attaccato sul tema del ritorno (distanziato) nei banchi: «Mancano 15 giorni e le incognite sono ancora moltissime». Bonaccini, invece, si è presentato affianco a Matteo Renzi alla summer school di Italia Viva. Luogo in cui non ha lesinato critiche ai grillini («Dobbiamo sfidarli su un programma comune»).

 

Ieri Zingaretti ha incassato la solidarietà di Base democratica, la corrente prevalente, ma si è beccato anche delle critiche per i contenuti della lettera inviata a Repubblica. «È un grande errore politicizzare questo referendum, come ha fatto Zingaretti. È un errore già fatto nel 2016 da Matteo Renzi», ha dichiarato il senatore Pd Tommaso Nannicini, componente del comitato per il No al referendum del 20 e 21 settembre. «Non bisognava legare questo voto a quello delle Regionali». Il 7 settembre ci sarà la direzione del Pd per decidere la linea.

orlando zingaretti

 

Una presa in giro, attacca Matteo Orfini, visto che la linea - per il sì - l' ha già data il segretario e ora c' è poco da discutere: «Il referendum è fissato da mesi, la campagna elettorale è in corso, ma noi non abbiamo trovato il tempo per discuterne».

 

 

2. NEL PD SI PENSA GIÀ AL DOPO SCONFITTA BONACCINI ORA PUNTA ALLA SEGRETERIA

Carlo Tarallo per ''La Verità

 

 

Con chi ce l' ha Nicola Zingaretti? A chi è rivolto il suo messaggio? Cosa teme il quasi ex segretario del Pd? La Verità ha interpellato fonti molto autorevoli dei dem, per tentare di capire cosa abbia spinto il pupillo di Sharon Stone a indirizzare a Repubblica quella lettera che sembra da un lato un voler mettere le mani avanti di fronte alla probabile sconfitta della sinistra alle regionali, dall' altra un tentativo di spegnere le tante voci interne che, invitando a votare no al referendum sul taglio dei parlamentari, stanno fondamentalmente lavorando per far cadere il governo guidato da Giuseppe Conte: se i contrari alla sforbiciata di senatori e parlamentari prevalessero sui favorevoli, infatti, il M5s salterebbe per aria trascinando con sé l' esecutivo.

 

NICOLA ZINGARETTI GIORGIO GORI

Partiamo da un punto chiave: le regionali. Quale risultato viene considerato accettabile dai dem? «Con due regioni vinte», spiega una fonte governativa di primo piano, «potremo dire di aver retto bene. Se finisce 3-3 sarà una vittoria». Proviamo a tradurre dallo sconfittese democratico: il 4-2 significherebbe vittoria del Pd in Toscana e Campania e sconfitta in Puglia, Marche, Veneto e Liguria. Visto che si parte da un 4-2 per il Pd (che governa attualmente Campania, Toscana, Puglia e Marche, mentre il centrodestra Veneto e Liguria) già si comprende bene che in casa dem tira una brutta aria. Verrebbe infatti considerata addirittura una vittoria conservare Toscana, Campania e Puglia, dunque perdere le Marche.

 

Il problema però è che, al di là degli equilibrismi dialettici, l' unico candidato del Pd che gode effettivamente dei favori del pronostico, vale a dire Vincenzo De Luca, tutto è tranne che un fan di Zingaretti. Ricordiamo che fino all' esplosione dell' epidemia, lo stesso Zingaretti stava lavorando alacremente, in combutta con i grillini, per affondare la ricandidatura di De Luca, sostituendolo con il ministro dell' Ambiente Sergio Costa del M5s. Il Covid ha cambiato lo scenario, ma De Luca non dimentica, e non a caso ogni volta che può randella Zingaretti e tutto il governo.

 

 Proprio De Luca è uno dei big del Pd sui quali punta Stefano Bonaccini, presidente dell' Emilia-Romagna, per scalzare Zingaretti e diventare il nuovo leader dei dem. Bonaccini, dopo la vittoria dello scorso gennaio contro la leghista Lucia Borgonzoni, ha messo nel mirino la segreteria del partito, e ora aspetta solo il momento giusto per scendere in campo nei panni del salvatore della (povera) patria democratica.

 

«Bonaccini», rivela una fonte parlamentare di lungo corso, «sicuramente punta alla segreteria, ma quello di Zingaretti è un messaggio rivolto a quelli che stanno lavorando per il no al referendum e a quelli che non si stanno impegnando per le regionali. Più che altro, Nicola ha tentato di stringere i bulloni. Con chi ce l' ha? Sindaci come Giorgio Gori, parlamentari come Matteo Orfini e Gianni Cuperlo, e negli ultimi giorni anche quelli di Base riformista».

NICOLA ZINGARETTI LUIGI DI MAIO

 

Base riformista, lo ricordiamo, è la corrente del Pd che fa capo al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e all' ex ministro Luca Lotti. «Quelli che hanno criticato il ragionamento di Bettini», aggiunge la fonte, «stanno aspettando la sconfitta per far fuori Zingaretti».

Il ragionamento di Goffredo Bettini, guru democratico, ex nume tutelare di Zingaretti, è che l' alleanza tra Pd e M5s vada rinsaldata, e che Matteo Renzi debba farsi carico di federare un' area moderata che possa unirsi a Dem e grillini.

 

Chi ha criticato Bettini? Esattamente gli stessi che lavorano per il «no» al referendum e che le nostre fonti accusano di minare la segreteria di Zingaretti: Orfini, Gori, Cuperlo, Maurizio Martina, Base riformista.

 

Andando più in profondità, tra i dem c' è scontento per la strategia di Giuseppe Conte, che si è completamente defilato sia dalla battaglia per le regionali che dal palcoscenico politico in generale, cercando inutilmente di tenersi lontano dalla probabile sconfitta: «Il rapporto con Conte», rivela un big del Pd, «si è molto raffreddato, inutile negarlo. Si fa i fatti suoi, non è riuscito a favorire l' alleanza con il M5s alle regionali, pensa solo a evitare di restare travolto da una eventuale sconfitta».

 

Un tentativo maldestro quanto grossolano: se la sconfitta diventerà catastrofe, ovvero se la sinistra manterrà solo la guida della Campania, al di là di quello che sarà l' esito del referendum sul taglio dei parlamentari, la sorte di Giuseppi sarà segnata: dimissioni e consultazioni. L' unica certezza di questo settembre così politicamente incandescente è che la battaglia in Toscana della candidata leghista del centrodestra, Susanna Ceccardi, va molto al di là della elezione del presidente della Regione: se il centrodestra la spunta cadrà il governo.

valentina cuppi nicola zingaretti

 

 Se poi si andrà a votare oppure si riuscirà a trovare in Parlamento una maggioranza che sostenga un nuovo governo e un nuovo presidente del Consiglio, è tutta un' altra storia, anche perché, non dimentichiamolo mai, l' Europa farà di tutto per mantenere in vita questo parlamento, dove i sovranisti non hanno la maggioranza, fino all' elezione del prossimo presidente della Repubblica, nel gennaio 2022.

 

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