SI SALVINI CHI PUO’ – IL BOOM ELETTORALE E I RAPPORTI DI FORZA RIBALTATI CON IL M5s SPINGONO IL LEADER LEGHISTA A LANCIARE L’OPA SUL CONTRATTO DI GOVERNO: DALLA TAV ALL’AUTONOMIA, ORA DI MAIO DOVRA' ‘PRENDERE O LASCIARE’ - CONTE NON CONTA PIU’ NULLA: SARA’ UNA SORTA DI OSSERVATORE INTERNO – LE IMMAGINI DELLA FESTA DEL CARROCCIO, SALVINI BACIA IL ROSARIO: “IO RINGRAZIO CHI C’E’ LASSU'” - GIORGETTI ESPONE ALLA FINESTRA LA STATUA DI ALBERTO DA GIUSSANO – VIDEO

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Francesco Verderami per corriere.it

 

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Per mesi a Palazzo Chigi ci sono stati due governi, ed è difficile che da oggi tornino a essere uno. Il primo a sapere che sarà «difficile» è il premier. Ora che l’alleanza giallo-verde si è numericamente rovesciata, Conte è consapevole di non avere pressoché margini per svolgere il suo ruolo di «mediatore» — peraltro già contestato dal Carroccio — né di avere strumenti per resistere alle pressioni di Salvini. Visto il successo elettorale, il Carroccio si appresta a una competizione a tutto campo con il Movimento : in termini di programmi però, non certo di poltrone. Il che rende tutto molto più complicato, siccome l’obiettivo leghista non sarà il rimpasto, ma lanciare un’Opa sulla coalizione.

 

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Di fatto il presidente del Consiglio è tagliato fuori, sarà una sorta di osservatore interno. E la sua idea di voler «riprendere subito in mano i dossier più importanti», insieme all’auspicio che «si mettano da parte le liti», sono frasi di circostanza. Semmai la tesi che «i toni non hanno giovato», danno il senso della resa e chiaramente sono riferite alla linea imposta in campagna elettorale da Di Maio. Ma ormai è tardi. E Conte aspetta solo di vedere come Salvini dispiegherà la sua azione. Sarà una richiesta da «prendere o lasciare» verso l’altro vicepremier, sarà una mossa che ne cela un’altra: se non venissero assecondati i suoi progetti, infatti, il ministro dell’Interno potrebbe sciogliere il «contratto» e presentarsi davanti al Paese immune dalla colpa di aver aperto la crisi per calcoli di partito.

 

 

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Il punto è se Di Maio, pesantemente ridimensionato dalle urne e senza un piano di riserva, avrà ancora la forza (prima che la voglia) di accettare le condizioni dell’alleato-avversario. Lo scontro con Salvini, nel disperato tentativo di recuperare terreno, ha finito per destabilizzare il ramo sul quale il governo stava appeso. La foto del Paese che le urne consegnano, è però diversa dalla foto di Palazzo, ancora espressione del voto di un anno fa. In Parlamento M5S è il partito del 32%. E questo paradossalmente non aiuterà Di Maio, perché non c’è dubbio che l’ala movimentista dei grillini lo spingerà a non fare ulteriori concessioni alla Lega, pena — se non la frattura dei gruppi — la perdita della leadership a cinquestelle. Giocare senza carte in mano, mentre Salvini ne ha due, è come dichiarare di aver già perso la partita. Ma anche Salvini non potrà mostrarsi troppo disponibile, anche per lui sono limitati i margini da offrire per la mediazione.

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È vero, il segretario del Carroccio può vantare oggi una presa ferrea sul suo gruppo dirigente, ma per evitare la crisi di governo e non riconsegnarsi al vecchio centrodestra, dovrà portare risultati: la Tav, l’autonomia regionale, la separazione delle carriere dei magistrati, una politica economica centrata sulla riduzione delle tasse e che dovrà essere «prioritaria» rispetto alle richieste dei grillini. È su questi punti che ieri ha ricevuto il voto di «fiducia» dagli elettori, e non potrà fallire.

 

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Ecco il «prendere o lasciare» con Di Maio. E in questo duello tra vice premier, Conte è laterale, (quasi) ininfluente. D’altronde i risultati delle Europee contrastano con l’immagine di un quadro politico già vecchio, espressione di equilibri del passato. Lo testimonia il sorpasso del Pd su M5S: è un dato che pone inoltre fine al primato del blocco giallo-verde sulle forze della Seconda Repubblica.

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E che diverrà un problema per lo stesso Salvini, se davvero Berlusconi sarà riuscito a restare in piedi. Il capo della Lega vorrebbe evitare il rapporto con Forza Italia, ma non potrà fare a meno di calcolare la somma dei partiti di centro-destra e paragonarla alla somma dei partiti di governo, che in prospettiva tenderà ad essere «minoritaria». È un attimo perdere il treno...

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