Fabio Tonacci per repubblica.it
Dal pezzo di strada dove si è interrotta la marcia di Alex Schwazer si avvistavano medaglie. La forma era proprio quella, il colore era da definire, ma il cronometro parlava chiaro.
Ancora questa primavera il campione altoatesino dalle due vite (e forse più di due) macinava, in allenamento, tempi record. Sia sulla distanza dei 50 km, quella a lui più congeniale e che lo ha portato all'oro di Pechino, sia sui 20 km.
Mentre a Losanna la giustizia sportiva internazionale si avvitava su se stessa, incapace di riformare il verdetto del 2016 (squalifica per otto anni per doping poco prima dei Giochi di Rio) pur di fronte a prove chiare e scagionanti raccolte dal Tribunale di Bolzano, Alex correva lungo l'Isarco gonfio di pioggia. Correva e pedalava, mattina e sera.
Dopo ogni sessione mandava un messaggio su whatsapp al suo allenatore, il maestro dello Sport Sandro Donati: misure, minuti e secondi, frequenza cardiaca, pause, alimentazione, livelli di fatica. E dopo ogni sessione, Donati si convinceva sempre di più che, se lo avessero lasciato andare a Tokyo, il ragazzo l'avrebbe rivisto sul podio.
Non è andata così. Le favole hanno il lieto fine assicurato, la vita no. Le speranze di Schwazer si sono spente il 14 maggio quando il Tribunale federale svizzero ha respinto il ricorso del marciatore con una sentenza scritta nella lingua dell'Azzeccagarbugli:
"Di regola e per costante prassi nelle controversie come quelle in esame, l'effetto sospensivo o altre misure cautelari entrano in considerazione soltanto se, sulla base di un esame sommario dell'incarto, il rimedio di diritto pare molto verosimilmente fondato. Nel caso concreto tale presupposto non è adempiuto". Fine. Macigno tombale sulla carriera del 36enne di Vipiteno. Nonostante gli appelli di Giovanni Malagò, capo del Coni. Nonostante gli applausi a Sanremo. Nonostante i tempi. E che tempi.
Abbiamo letto la tabella dell'allenamento di Schwazer nella settimana a cavallo tra marzo e aprile, con gli appunti di Donati.
Mostruosa anche agli occhi dei profani. Lunedì 29 marzo: mattina 1 ora e 20 minuti di bici sul rullo, frequenza cardiaca 127; pomeriggio 16 km di marcia iniziando alla velocità di 4 minuti e 35 sa km e regredendo fino a 4 minuti e 20, battiti finali 137. Mercoledì 31 marzo: 40 km di marcia in 3 ore e 6 minuti (frequenza cardiaca media 135).
"Equivalente a circa 3 ore e 52 minuti sui 50 km, enorme margine: in gara vale intorno a 3 ore e 40 minuti sui 50 km", annota il suo allenatore. Da tenere presente che il record del mondo stabilito il 15 agosto 2014 da Yohann Diniz è di 3 ore e 32. E ancora, domenica 4 aprile: 40 km di marcia in 3 ore e 5 minuti (frequenza cardiaca media 135 battiti al minuto), livello di fatica 5 su scala di 10. "Equivalente a circa 3 ore e 51 minuti sui 50 km".
A impressionare non è solo la facilità con cui raggiunge livelli alti di prestazione con impegno tutto sommato moderato, ma anche la capacità di recupero. "Due sedute di allenamento da 40 km in cinque giorni e a quella velocità sono sostenibili da pochissimi atleti al mondo - dice a Repubblica Donati - Sette giorni dopo ha fatto i 30 km con un impegno valutabile in 6,5 su scala di 10 e ha coperto gli ultimi 25 km con un passo che equivale, sulla 50 km, al tempo finale di 3 ore e 35 minuti.
È molto probabile che a Tokyo avrebbe potuto vincere la medaglia d'oro". Nell'ultima gara disputata, a La Coruna nella primavera del 2016 poco prima dell'inutile viaggio a Rio, Schwazer arrivò secondo con quattro mele sullo stomaco, che ha vomitato dopo il traguardo. Prima di lui, e senza mele, è arrivato Wang Zhen, il marciatore cinese che poi a Rio ha vinto l'oro.
Sulla parabola di Schwazer - la prima squalifica (giusta) per doping a Londra nel 2012, il ritorno alle gare, la decisione di affidarsi proprio all'uomo che aveva contribuito alla sua squalifica aiutando gli investigatori di Bolzano, gli allenamenti durissimi, la speranza e poi di nuovo la caduta, lo scandaloso balletto delle provette di urina manomesse a Colonia, la spy story, l'ingiustizia di non ricevere giustizia - Sandro Donati ha pubblicato un libro, "I signori del doping: il sistema sportivo corrotto contro Alex Schwazer" (Rizzoli, 18 euro, prefazione di Attilio Bolzoni) da oggi in libreria.
Di quel 14 maggio, Donati scrive: "Ho sempre ritenuto impossibile o paradossale che potesse giungere giustizia ad Alex proprio da Losanna, Tuttavia non è stato facile buttar giù il rospo e digerire questo ennesimo affronto.
Alex ha smesso di allenarsi quel pomeriggio stesso: al mattino aveva svolto 2 ore in bici e qualche ora dopo aveva ripetuto tre volte 10.000 m in circa 43 minuti, con una pausa di appena tre minuti, svolta di marcia più lenta. Per moltissimi marciatori l'allenamento della vita, per lui normale amministrazione. Poi abbiamo spento definitivamente i motori".
SANDRO DONATI ALLENATORE DI SCHWAZER