“IL PAPA DICE CHE MESSI NON È DIO? SIAMO SICURI?” – DOTTO IN ESTASI MISTICA DAVANTI ALLA “PULCE”: IL MIGLIORE, SENZA TEMPO. LUI E FEDERER SONO LA DIFFERENZA CHE GENERA STUPORE E POI DEVOZIONE. LEO O CR7? TUTTI I RAGAZZI DI TALENTO POSSONO IMMAGINARE DI DIVENTARE UN GIORNO CRISTIANO. NESSUNO PUÒ NEMMENO IMMAGINARE DI DIVENTARE MESSI. LUI E’ UN ALIENO. PERCHÉ CREDETE ABBIA O AVESSE TUTTI QUEGLI ATTACCHI DI VOMITO? È LA FATICA DI ASSECONDARE GLI UMANI…" - VIDEO

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Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport

 

messi messi

Il Papa dice che Messi non è Dio? Siamo sicuri? Chiedetelo ad Alisson se Messi è Dio. Chiedetelo a Ospina. O alle migliaia che hanno dovuto porsi la questione, avendolo tra i piedi e non avendo un master in teologia. Camp Nou o Stadio del Bicentenario, Barcellona o San Juan, Liverpool o Colombia, novembre 2016 o maggio 2019. La solfa non cambia. Meteoriti piovono da non si sa dove. Messi scalda il suo sinistro. Lo ascolta.

federer federer

 

Ospina e tre anni dopo Alisson, tanti altri prima di loro e a seguire, non sono uomini tranquilli tra i pali. Anche loro ascoltano. Niente di buono. Parte il sinistro. La palla di conseguenza. Una morbida palla. Sembra burro ma è cannone. Ospina e Alisson sanno che sarà così, ma saperlo non basta. Bravi ragazzi. Volano come e dove devono volare. Anche oltre. Non basta. La palla va come e dove deve andare. Nell’unico buco possibile, tra il palo alto e la manona espansa.

messi messi

 

Qualcuno dubita, ancora oggi, dopo che c’è stato ieri, che non sia il migliore di sempre? Orbi senza Dio. Più o meno gli stessi che se lo chiedono di Federer. Lui o Nadal? Lui o chissà chi. Tenetemi, che si può morire dal ridere. Comincino intanto loro a dubitare di sé. Del proprio sguardo, del proprio intelletto, della propria capacità di carpire la bellezza prima ancora di capirla. Messi e Federer sono la differenza allo stato puro. È la differenza che genera lo sguardo e poi l’ammirazione e poi lo stupore e poi il desiderio e poi la devozione.

 

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Leo Messi o Cristiano Ronaldo, o chiunque altro? Tenetemi, che perdo le budella. Tutti i ragazzi di talento possono immaginare di diventare un giorno Cristiano. Sono autorizzati. Messi no. Nessuno può nemmeno immaginare di diventare Leo. Il suo è un genio che esclude. Messi è incomprensibile. Non abita nel senso, ma nella sensazione. Con lui non sai nemmeno da dove iniziare.

 

giancarlo dotto giancarlo dotto

Se andiamo a ripescare le più grandiose giocate dei più grandiosi dell’ultimo mezzo secolo, Crujff, Maradona, Ronaldo il Fenomeno, lo stesso Cristiano, l’archivio è grande ma limitato. Numeri pazzeschi, spesso irripetibili. L’archivio di Messi è illimitato. Messi replica. I suoi capolavori sono riproducibili. Ma solo da se stesso. Ne scodella a decine di quelle medesime meraviglie. Punizioni nel senso di castighi, serpentine, assist, finte, invenzioni e riemersioni alla Houdini tra matasse di gambe. Lo straordinario, nel suo pianeta, è ordinario. Si dice che ogni campione appartiene alla sua epoca. Vero. Nel caso di Messi è falso. Il suo giocare calcio non ha a che fare con le epoche. È preistorico. Solo su Pelè e Garrincha lascio il confronto sospeso. Non ci sono immagini abbastanza.

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Gli avversari di Messi si dividono in due categorie. Impotenti o rabbiosi, qualche volta vendicativi. In ogni caso ammiratori, che si arrendano o cerchino di spezzargli le caviglie. Cos’è James Milner, anima del Liverpool, quando ieri sera lo scaraventa via dal campo con uno spintone brutale? Cosa confessa? Il più grande omaggio al genio incomprensibile e dunque intrattabile. Impotenza e frustrazione. Messi non sai come trattarlo. Non potendo ucciderlo, con quella spallata pretendi di toglierlo di scena. Come dire, tu non appartieni a questo teatro, tu non sei dei nostri. Che ci stai a fare qui? Sei un alieno. Ecco, tra tutte le definizione con cui gli umani scorticano da quindici anni il loro inadeguato lessico, è quella più vicina al vero. Messi è un alieno. Che fa sforzi inauditi per sembrare umano.

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Perché credete abbia o avesse tutti quegli attacchi di vomito? È la fatica di assecondare gli umani. Che, ottusoidi, vorrebbero fare di lui un leader alla Maradona, alla Ramos o Falcao. Schiacciarlo con una responsabilità che lui non comprende. Non è nella sua natura. Leo ha bisogno di un ambiente che gli dica: fai quello che puoi, non fai quello che devi. Perché questo fa il genio, quello che può. Leo vomita, ora non più, per quanto torturato e sfinito dalle attese del mondo. Che lo assilla. Gli chiede di essere all’altezza di se stesso. Lui, il ragazzo di Rosario, non ne sa nulla di cosa voglia dire essere Messi. Non se l’è mai posto il problema.

 

A partire dalla storia innocente e sulfurea di una pulce sublime. Che, come le pulci ammaestrate dei circhi inglesi dell’ottocento, gioca a palla a piccoli zompi e salta illeso nei cerchi di fuoco. Vedi tackle assassini.  Illusionismo? Stiamo parlando, probabilmente, di un illusionista. Che, se fosse tutta roba vera quella che vediamo, non sarebbe sostenibile. Genio di piede, ma deficiente ormonale, le sue ossa malate non crescono, salvato dalla scienza quando la natura lo vuole nano.

 

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“Tu sei Messi, non puoi nasconderti”, ha preso a soffocarlo il mondo. Messi ha provato a nascondersi. A travestirsi da quello che non è. Si fa spuntare sul muso bambino quel rosso malpelo di lana caprina, probabilmente luciferina. Come a regalare un sembiante credibile. “È questo il Messi che volete? Un duro. Un leader…”. Possiamo capirlo Messi quando si nascondeva e si tormentava, non possiamo perdonarlo. Chi nasce Messi non va dietro la lavagna, se la porta fino in fondo la croce. Il genio non tormenta chi lo possiede, ma casomai chi lo contempla.

 

maradona e i queen maradona e i queen

Poi, un giorno, Leo si scopre stanco di essere stanco. La sapete no, la mediocre storiella del Messi che non ha mai vinto un mondiale e che “quando gioca con la maglia della sua nazione delude, sembra un altro” bla bla straparlando? Non è vero. Lo dicono le cifre. Miglior marcatore di sempre con l’Argentina. Ma non basta. Non basta mai se ti chiami Messi. Sta di fatto che lui un giorno decide di fregarsene, si lascia la barba da duro e torna per sempre nel tutto suo mondo a soffiare le sue bolle meravigliose e a infischiarsene del resto. Tutti sanno che lui può inventare qualunque cosa. Questo gli basta per inventare ogni volta una cosa mai qualunque.  

 

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Messi non ha il titanismo egoico di Maradona. Non si alimenta con l’adorazione del mondo. Ego zero Leo. Non esiste. Il suo genio autistico ha grandezze sconfinate e limiti precisi. La sua mente è in un altrove indefinito. Ne sa poco o nulla di sé, figuriamoci di noi umani. Al massimo, orecchia. Ci prova. Si adatta. Da bravo cittadino, figlio, marito, padre, amico, capitano, quando recita il sermoncino ai compagni o il compitino davanti la telecamera. Un assoluto con la palla al piede, unico, non sai dove comincia l’uno e finisce l’altra, assai vago e approssimativo nelle relazioni col mondo. Se la sfida lo infiamma, come ieri sera, e l’occhio gli diventa quello predatorio di Velociraptor, non è il suo ego ma è l’istinto primordiale che lo comanda.

 

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Sapete cos’è Ousmane Dembele quando cicca osceno la palla a due metri da Alisson? Uno annichilito. La prova che il genio è scoraggiante. Se c’è uno come lui, Leo, a due metri da me, confessa ciccando, io sono zero, una nullità. C’era da ammazzarlo, Dembele, e invece Leo se la ride, steso a terra, stremato ma preso da un’allegria sfrenata, come il Gulliver gigante circondato dai lillipuziani. A guardarle, due gambette insignificanti, potenziate il giusto per reggere l’urto dei bionici, quelle che potete vedere qualunque domenica in una spiaggia libera di Ostia, in una partita tra scapoli e ammogliati. Lo stesso che ieri sera raccontava feroce ad Alisson, solo l’ultimo della serie, la vanità dei suoi sforzi e del suo talento.

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Sogno un arbitro pazzo che mostri il cartellino rosso a uno che falcia Messi a quaranta metri dalla porta, spiegando agli sbalorditi che protestano di averlo punito “per aver interrotto una chiara occasione da rete”. Sogno un minuto di silenzio retroattivo ieri sera al Camp Nou, minuto 82’. Nessun lutto. Solo stupore. Anche lo stupore ha bisogno del suo tempo. Anche quando il genio replica. Cose che capitano. Mai così capitano. Di se stesso, prima di tutto. Leo Messi, il migliore. Senza tempo.

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