emilio isgro - planisfero europa

PER UN MONDO CORRETTO, ARTE SCORRETTA – IL MITICO EMILIO ISGRÒ METTE IL PENNELLO NELLA PIAGA: “COME È POSSIBILE CHE L'ARTE, REGINA DI OGNI DISSENSO, E DUNQUE DELLE STESSE LIBERTÀ DEMOCRATICHE, SI SIA TRASFORMATA IN 70 ANNI NEL PRESIDIO PIÙ EFFICACE DI TUTTI I CONFORMISMI?” – “È INNEGABILE CHE ANCHE LA POP, DA POPULAR ART APERTA E PROGRESSISTA, È DIVENTATA POPULIST ART CON UN CONSENSO PLEBISCITARIO CHE L'ARTE NON PUÒ TOLLERARE: PERCHÉ ESSA È LA SOLA ATTIVITÀ UMANA CHIAMATA A DIVIDERE. DIVIDERE PER UNIRE: È QUESTA LA SUA FUNZIONE CIVILE”

Emilio Isgrò per “la Lettura - Corriere della Sera”

Emilio Isgro'

 

Da qualche tempo la Cancel culture circola come un fantasma per l'Occidente. Ed è naturale che molti mi chiedano un'opinione, un giudizio, memori che la mia prima cancellatura di libri risale all'ormai remoto 1964.

 

Non vorrei spendere troppe parole sull'argomento, se non altro perché, cancellando enciclopedie e romanzi, io volevo togliere di mezzo non la storia nella sua complessa, contraddittoria totalità - come pretendono gli iconoclasti più conseguenti - quanto il politically correct che sta alla base della Cancel . Mentre, a mio parere, l'arte vive soprattutto di infrazioni e di scorrettezze.

emilio isgro - planisfero europa

 

Quando intrapresi le mie prime prove cancellatorie, l'immagine più corretta dell'arte era la pittura grondante colore e materia che dall'Espressionismo Astratto era passata direttamente alla Pop, benché quest' ultima rifiutasse l'eccesso materico per compensarlo con una ripresa di figurazione carica dei colori gelidi e suggestivi della società mediatica in ascesa.

 

shot sage blue marilyn andy warhol 9

Senza contare che artisti che facevano da ponte tra Espressionismo Astratto e Pop Art, come Jim Dine e Robert Rauschenberg, mescolavano disinvoltamente la comunicazione mass-mediale con le estreme suggestioni dell'Informale passato di moda. Lo stesso Andy Warhol, teorico dell'impersonalità assoluta duchampiana, sostituiva il pennello con la macchina fotografica ed era poi costretto a richiamarlo in causa per imbellettare pesantemente i suoi travestiti, dopo avere agghindato per bene Liz Taylor o Marilyn Monroe.

JIM DINE

 

Il risultato fu un «pieno» assoluto contro cui nulla potevano le algide esperienze minimaliste dettate dalle ascetiche tecniche zen. Certo è che dagli anni Sessanta l'ideologia dell'arte dominante nel mondo è l'ideologia Pop anglo-americana, e in tale ottica rientrano sicuramente artisti come Jeff Koons (il duchampismo spiegato al popolo) o l'inglese Damien Hirst, un artista che io preferisco al primo, per quanto neppure lui abbia potuto sfuggire alla logica del Novecento duchampiano quando propose i suoi strabilianti squali in formalina, che alla fin fine erano semplici ready-made biologici.

 

In sostanza, quel che un tempo si chiamava avanguardia o sperimentazione, oggi meriterebbe il nome meno lusinghiero di arte pompier : anche se sarebbe ingiusto negare che persino Koons e Hirst, personaggi dotati di buona intelligenza, si sono piuttosto evoluti rispetto alla loro produzione degli anni Novanta, che pure rimane la più impressa nella memoria.

 

Dico questo non per appannare la «bellezza» delle opere più efficaci di questi artisti, che oltre tutto a volte seducono anche me, così come mi seducono le storie godibilissime di Piero Chiara, che certamente non è Joyce ma ha un talento di narratore del quale non si può non tenere conto.

 

Solo che il talento è ben poca cosa quando non può essere discusso. Cosa pressoché impossibile in una società mediatica che non ammette discussioni - un po' come la guerra di Putin -, a meno che non siano i dibattiti costruiti a tavolino dei talk-show.

Emilio Isgro'

 

È innegabile che anche la Pop, da Popular Art aperta e progressista, è diventata Populist Art nell'interminabile percorso che da Kennedy porta a Trump, là dove il patto democratico viene sostituito con un consenso plebiscitario che l'arte non può tollerare: perché essa è la sola attività umana chiamata a dividere nel senso migliore e più produttivo del termine. Dividere per unire: è questa la sua funzione civile.

 

jeff koons e damien hirst

Se è vero infatti, come vuole il Talmud, che là dove c'è conflitto c'è Dio, è anche vero che il Dio dei tempi atomici dovrà necessariamente escludere le guerre più crudeli e devastanti, per tramutarle in conflitti di idee e di opinioni che funzionano come valvole di sicurezza capaci di evitare miseria, spargimenti di sangue e tragedie.

 

Fuori dal gregge di Damien Hirst

Finché si discute nel mondo della cultura - di cui l'arte è in questo momento la punta di diamante per gli interessi soprattutto economici ad essa legati - è chiaro che gli impulsi aggressivi dell'uomo vengono in qualche modo deviati e sublimati in una sfera più alta che allontana la guerra combattuta con le armi. Il che consente alla politica e alla diplomazia di avere a portata di mano quelle leve emotive e conoscitive in grado di tradursi in accordi di coesistenza pacifica anche con il più antipatico dei nostri vicini di casa.

 

duchamp 9

Non voglio dire che l'arte possa eliminare da sola le guerre, ci mancherebbe, ma osservare che almeno da settant' anni, cioè da quando l'America ha vinto la pace con le arti dopo avere vinto la guerra con le armi, anche nel democratico Occidente è diventato un reato di lesa maestà riflettere educatamente sui limiti inevitabili di Andy Warhol e dei suoi eredi, oltre che sulla loro energia.

 

E gli stessi artisti, un po' dappertutto nel mondo, evitano accuratamente di mordersi tra loro, rifuggendo da quelle polemiche salutari che un tempo permisero a Tristan Tzara di accantonare il prodigioso Picasso, e a Breton di offuscare lo stesso Tzara. Certo, i cannoni sparavano anche allora, tanto che il Dada nacque come protesta contro i massacri della Prima guerra mondiale.

ragazza col palloncino banksy

 

Ma la presenza degli artisti andava al di là del pettegolezzo dettato dalla frustrazione e dall'invidia contro il ricchissimo Koons - il quale fa quel che può, cioè il suo mestiere - o contro l'inafferrabile Banksy, più sconosciuto del milite ignoto.

 

Alla fine rimane l'insondabile paradosso: come sia possibile che l'arte, regina di ogni dissenso, e dunque delle stesse libertà democratiche, si sia trasformata in settant' anni nel presidio più efficace di tutti i conformismi, con il risultato che passiamo dai musei di Tokyo a quelli di New York, o dalle gallerie di Shanghai a quelle di Milano, come se non ci spostassimo di un millimetro, sempre fermi allo stesso palo.

 

Emilio Isgro' - Dedicadi Dino-Buzzati 1969

Si parla della necessità di un'arte «impegnata», come si diceva una volta, e su questo punto non posso che concordare: purché non si consideri l'impegno un puro derivato della «sinistra» storica, dimenticando che gli artisti di Hitler erano a loro modo non meno impegnati del Picasso di Guernica .

 

Non credo, cioè, che artisti come Hirst o Koons siano così disimpegnati come si dice. Sono solo impegnati da un'altra parte. È per questo che nei prossimi anni mi batterò per un'arte politicamente scorretta soprattutto nei confronti del glamour e di altre inclinazioni del genere. Perché solo se un artista ritrova sé stesso, al di là delle attese più epidermiche del pubblico, può aiutare a ritrovarsi anche il mondo in cui vive.

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