DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - IL VIDEOGIOCO DENTRO IL VIDEOGIOCO DI "NARITA BOY" PER SWITCH, PLAYSTATION, PC E XBOX, CHE CI FA VIAGGIARE COME TRON O GIOCHI STELLARI IN UN MONDO DIGITALE DENTRO AD UN COMPUTER - ILLUSTRATO CON UNA PREZIOSA PIXEL ART E ACCOMPAGNATO DA EPICA MUSICA SINTETIZZATA, NON È SOLO UN SUPERFICIALE OMAGGIO AGLI ANNI ’80, MA UN RACCONTO INTIMISTA ED ESISTENZIALISTA - VIDEO

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Federico Ercole per Dagospia

 

narita boy narita boy

Che noia, che disagio che bruttura gli anni ’80, pensavi proprio durante gli anni ’80, quando eri adolescente. Il decennio di Reagan, di Chernobyl, delle spalline abnormi su giacche orrende, del frivolo e sfrontato ottimismo che se eri “preso male” eri emarginato, di bullismi tollerati se non giustificati perché “tra ragazzi si fa così”, dello spettro di un servizio di leva obbligatorio, del sorgere letale dell’aids e quindi niente più sesso e droga anche se l’amore non l’avevi mai fatto, forse perché con te il topexan non funzionava ...

 

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Giusto nel secondo decennio del nuovo secolo sono potuti tornare di moda gli anni ’80 si potrebbe pensare, periodo ancora più nero e critico. Tuttavia in questo recupero degli anni ’80 c’è anche qualcosa di illuminante e consolante, ovvero che di quel decennio non si tende ad esaltare la sua fatua superficie, il suo “modus vivendi”, il suo consumismo sfrenato e inquinante, ma la contro-cultura pop e underground, le lotte sociali contro l’emarginazione, il cinema di Carpenter o di Raimi, i giochi di ruolo, i videogame, la musica rock e post punk.

 

Insomma a vedere cosa oggi è celebrato di quel decennio, roba all’epoca disprezzata dai più e considerata da “outsider”, ci si sente quasi dei fighi e non degli sfigati come si era considerati allora perché si collezionavano pupazzetti di Guerre Stellari a 17 anni, si impersonava un mago con gli amici nani ed elfi lanciando magie con strambi dadi, si ascoltavano gli Iron Maiden, gli Adolescents o i Joy Division invece degli Spandau Ballet o gli Wham, si disertavano i giardinetti e le partitelle di pallone per giocare con il Commodore o lo Spectrum, non avevi la tipa, il tipo o le timberland.

 

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Quella che negli anni ’80 era una sub-cultura senza dubbio oggi è materiale mainstream, a posteriori hanno vinto i “nerd” di allora, con il rischio tuttavia che ciò che hanno consegnato alle nuove generazioni soccomba al capitalismo e al manierismo, annacquando quell’antica forza trasgressiva o peggio trasformandola in un paludoso, accademico e puritano tradizionalismo.

 

In questo dunque ambiguo, a tratti comunque persino meraviglioso,  recupero degli anni ’80 è vieppiù inquadrato anche  Narita Boy di Studio Koba, videogioco “quasi” indipendente perché pubblicato da Team 17, che potete trovare gratis con il Game Pass su Xbox e a pagamento su Playstation e Nintendo Switch.

 

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Ciononstante  oltre l’evidente omaggio ai canoni estetici e tecnologici degli anni ’80, che potrebbero anche squalificarlo come mera, superficiale operazione di recupero, in Narita Boy c’è molto altro poiché si cela senza troppo artificio, oltre i suoi illusoriamente antichi pixel e oltre la sua storia che rimanda a Tron o a Giochi Stellari (entriamo dentro un programma), un racconto intimista e profondo laddove il videogame inteso come mondo nega la trascendenza del suo creatore che qui è invece immanente, con i suoi ricordi, le sue emozioni, la sua volontà ovunque diffusi. Si ha inoltre l’illusione che la distanza materiale di chi gioca ed è giocato sia annullata, diventando  così l’universo ludico di Narita Boy assai poco favoloso e invece credibile, poco ludico malgrado le inevitabili regole del gioco, ma vitale oltre noi che vi trascorriamo come lo è un bosco silenzioso che torna a mormorare dopo che è passato un cacciatore. 

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DENTRO IL VIDEOGIOCO NEL VIDEOGIOCO

Narita Boy non è quindi un’opera nostalgica come la si può leggere senza giocarci, o meglio c’è molto rimpianto, la percezione di un passato che svanisce persino nella memoria, una nostalgia integrata alla narrazione, tra ricordi teneri o tristissimi, che fa leva sulla figura del creatore del mondo che esploreremo nel momento in cui il protagonista è risucchiato nel computer. Qui l’intreccio, illustrato con notevole impegno pixel-artistico, ci muove per sventare la distruttiva minaccia virale di Him, il suo tentativo di dominare un mondo fantasy e tecno-mistico insieme con orde di mostruosi alleati.

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Bidimensionale e a scorrimento laterale, Narita Boy ci fa viaggiare per lande numeriche amene o opprimenti, solenni o elettro-bucoliche, abitate da una popolazione e da una fauna caratterizzate con stile e originalità. Armati della cavalleresca tecno-sword saltiamo, corriamo, ci inerpichiamo, risolviamo enigmi, cavalchiamo e lottiamo contro ondate di nemici in una maniera 2D che è vetusta ma efficace, senza essere mai ostica, persino quando si tratta di affrontare gli innumerevoli “boss”.

 

C’è una struttura che potremmo definire di “metroidvania” (con la sua esplorazione non lineare e fondata sulla rifrequentazione di zone già visitate per rivelare altri spazi dapprima inaccessibili) semplificato, poiché navigare la mappa non richiede in maniera prevaricante di tornare spesso sui propri passi, ma è un’attività che spinge verso il nuovo, in un viaggio verso la meta definitiva.

 

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Ma si tratta di un viaggio che sorprende, che non risulta mai ripetitivo se non quando i flussi dei nemici non si arrestano onda dopo onda, alimentando una monotonia mitigata dal disegno degli avversari, dalle animazioni e dallo spettacolo di luci e suoni. Ci vogliono una decina di ore scarse per completare il gioco e alla sua conclusione sorge la voglia di un seguito, di viaggiare ancora per quei domini di videogioco dentro il videogioco.

 

EPICA E MISTICA DELL’ELETTRONICA

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La trama, anche con i suoi luoghi comuni che sono comunque quelli di tanta letteratura d’anticipazione e fantascienza filmica e letteraria nell’era del digitale, è gradevole e appassionante grazie soprattutto agli interventi dei tanti personaggi secondari che illustrano il presente e il passato del mondo nel quale ci muoviamo con misticismo, poetica stralunata ed epica oltre che agli struggenti segmenti di ricordi del creatore.

 

C’è un’inversione del retrofuturismo, l’immaginare di nuovo il passato dal futuro invece che illustrarlo come venne vagheggiato un tempo; c’è un animismo digitale, memorie giapponesi, esistenzialismo, western, ritorno al futuro, leggende di Zelda. La confusione estetica, filosofica e ideologica di Narita Boy è uno dei suoi maggiori pregi, poiché in fondo nell’artificio assunto a universo non esiste un disordine concettuale, anche l’idea è numero, quindi sempre scomponibile, sottraibile e sommabile, non pensiero organico e conflittuale. 

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Con una musica sintetizzata lirica o martellante che risuona come adeguato panorama sonoro per le immagini con le quali risuona, e anzi talvolta le sublima, Narita Boy trascorre gratificante, mai punitivo, ed esaltante facendoci infine dimenticare proprio di quei “leggendari” anni ’80 ai quali si riferisce, trasportandoci nel suo mondo, unico e nuovo, possibile.

 

 

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