CAPELLO O ‘TOUPE’’? DEGENERAZIONE ‘SPECIAL ONE’ – DALL’INTEMERATA DI CONTE CONTRO DON FABIO ALLE STILETTATE DI RUDI GARCIA E MAZZARRI: IN PANCHINA VINCE IL MOURINHO STYLE (UN PO’ ‘CAPOBRANCO’, UN PO’ SPIN DOCTOR)

Francesco Saverio Intorcia e Timothy Ormezzano per ‘La Repubblica'

Il giorno dopo la burrasca, Antonio Conte ha trascorso la mattinata nella sede del club.
Lo fa ogni lunedì, ma stavolta ha incontrato Andrea Agnelli e Beppe Marotta per discutere, inevitabilmente, delle sue frasi a caldo in diretta Sky sugli scudetti revocati alla Juve di Capello. Su suggerimento della società aveva già corretto il tiro nelle interviste successive.

Ieri, con il presidente e il dg, ha riconosciuto d'essere caduto in un "errore di comunicazione": caso chiuso senza multe. Agnelli però non ha gradito, avrebbe voluto maggiore prudenza, vista la battaglia legale e mediatica sui 31 scudetti. Non è neppure il primo scivolone dialettico di Conte: un anno fa, per rimediare alle sue frasi incerte sul futuro («Non so se resto») la Juve gli organizzò una stretta di mano col presidente a uso e consumo delle telecamere. Domani, vigilia di Europa League, Conte tornerà a parlare, come impone l'Uefa, e forse tornerà sulla polemica, per chiuderla.

In casa bianconera si ricorda anche la necessità del tecnico di tenere la corda tesa per avere risultati. Come se la sua squadra, sempre a prestare l'orecchio al "rumore dei nemici", desse il meglio di sé quando si sente accerchiata. Metodo efficace, anche se non unanimemente compreso. Manifesto di una generazione di allenatori cattivissimi, che non accettano critiche e polemizzano anche con i colleghi.

Ultimo della lista, Rudi Garcia, che sembrava dotato di invidiabile aplomb francese. Spiega Alberto Cei, psicologo dello sport: «Gli allenatori oggi sono piccoli Cesari, per il grande potere ricevuto dai club e la voglia di essere continuamente protagonisti, anche quando non sarebbe il caso. Sposano il ruolo del condottiero sempre in guerra, sfoderano un'aggressività, una rabbia non controllata, vogliono il centro della scena. Trapattoni, Liedholm e Boskov, con uguale carisma, avevano quell'ironia di cui i tecnici di oggi difettano ». E ironicamente, già, Cei propone «una partita fra la Juve di Capello e quella di Conte, unico modo per vedere qual è più forte».

Garcia ha replicato a muso duro alle critiche alla Roma per il ko di Napoli. Prima, aveva polemizzato con Reja per la gaffe alla vigilia del derby («Speriamo che qualche giallorosso s'infortuni»): inutili le scuse del tecnico laziale. Mazzarri arriva ai microfoni già armato di statistiche, edotto sui precedenti commenti in studio.

Generazione Special: Mou insegna, l'allenatore cura anche la rassegna stampa, stana il Nemico, lavora sulle menti. Alberto Ferrarini, motivatore personale di Bonucci, Gilardino e altri big, spiega: «Conte e Garcia sono allenatori che hanno scelto di essere causa e non effetto: stili diversi, certo, ma i risultati parlano per loro. Conte si muove come un capobranco, si preoccupa di tutto il gruppo, gode di ampia fiducia dall'ambiente perché è un leader e con i suoi metodi tira fuori motivazioni supplementari dai giocatori».

Renzo Ulivieri ricorda che «le polemiche ci sono sempre state e quella fra Capello e Conte è solo una discussione di calcio. Finalmente due allenatori dicono cosa pensano, invece di portarsi la mano alla bocca come fanno in partita, cosa che non sopporto. Un tecnico deve curare i rapporti con i media, ma c'è libertà di opinione: siamo attori di teatro, prendiamo applausi se lo spettacolo riesce e fischi se va male. Qualcuno può essere permaloso, ma via, nel nostro mestiere ci vorrebbe un po' di ironia in più». E Montella aggiunge: «È necessario accettare le critiche anche se ci danno fastidio e vengono da un collega».


2. CAPELLO O TOUPÈ?
Jack O'Malley per ‘Il Foglio'

And the winner is. Il premio That Win The Best va per acclamazione popolare a Fabio Capello, che ha espresso con voce autorevole ciò che qui e non solo qui si ripete con insistenza da monomaniaci: "Il campionato italiano non è abbastanza competitivo". E vorrei fermarmi qui un attimo prima della polemica che, chissà perché, l'ipersensibile Antonio Conte ha trascinato sul livello personale ringhiando una lunga serie di "e quella volta che tu..." che lisciano completamente il bersaglio. Capello ha ovviamente ragione: le squadre vendono i loro pezzi più pregiati e rimangono lassù in classifica, a contendersi gli obiettivi che contano, mentre in Europa le cose vanno come sappiamo, controprova della flessione generale.

Di queste affermazioni dovrebbero essere più preoccupate le società che gli allenatori: a loro tocca inventare il modello di business per ridare dignità a un campionato che sta scivolando verso le amarezze della Liga (ok, forse il paragone è ingeneroso, ma di questo passo tempo due-tre anni e ci siamo). Poi, certo, se voi italiani continuate a farvi rappresentare presso il mondo anglofono da Beppe Severgnini non uscirete mai dal tunnel, nemmeno con un primo ministro giovane e pieno di promesse che poi va allo stadio e sta tutto il tempo attaccato all'iPhone (andare in tribuna per farsi inquadrare e pensare ad altro fa vecchia politica e vecchio calcio, meglio stare a casa).

Se poi voglio proprio immergermi nelle polemiche sterili fra allenatori preferisco quelle fra Mourinho e Wenger, che iniziano velenosi scambi di finte cortesie e immancabilmente sbracano. Mou ha assunto la posa di quello che, dal primo posto in classifica, snobba la Premier, dice che di vincerla non gli interessa poi molto, e figurarsi della FA Cup, dove il suo Chelsea ne ha presi due dal City. E fra una cosa e l'altra dice al collega dell'Arsenal che è specializzato in fallimenti, e qui non si tratta di scudetti assegnati e revocati - l'Italia è una Repubblica basata sull'interpretazione di un giudice sportivo - ma di otto anni di vorrei-ma-non-posso che sono, in effetti, il tratto fondamentale della legacy di Wenger. L'Arsenal eterna incompiuta è un luogo comune universale mica per niente.

Lui risponde, sprezzante, che non ha voglia di parlare di argomenti tanto futili e intanto sfotticchia leggermente l'avversario dicendogli che ormai la premier la può perdere soltanto lui (e intanto vince contro il Liverpool in coppa). Solo che Mou, bontà sua, dice che non gliene frega nulla, ed eccoci nel bel mezzo della classica argomentazione circolare di Mourinho. Anche qui è difficile trovare l'aporia nella logica mourinhana, così simile a quella di Capello (i due si scambiano complimenti alla grande) e che fa uscire pazzi interlocutori troppo francesi o troppo nervosi per ribattere sensatamente.

 

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