BERTELLI COLTELLI: LUNA ROSSA (DI RABBIA) PER LE REGOLE PRO-ORACLE MINACCIA DI NON CORRERE L’AMERICA’S CUP

Gaia Piccardi per Corriere.it

«Sono dei gran... bischeri». Tre anni di attesa, costi raddoppiati, la morte del velista di Artemis Andrew Simpson nella baia di San Francisco (9 maggio), l'invasione dei catamarani giganti: la rivoluzione dei multiscafi ha prodotto due soli challenger e mezzo, una tonnellata di polemiche e un defender (Oracle) contro cui sta per scatenarsi l'inferno. Aridatece la generazione dei Flintstones (e chi ha orecchie per intendere, intenda).

A tre giorni dalla prima (ipotetica) regata della 34 a Coppa America, Luna Rossa contro Team New Zealand, soffiando fuoco e fiamme dalle narici Patrizio Bertelli - ad di Prada, marito di Miuccia e armatore del team italiano, alla quarta partecipazione - spiega perché è molto improbabile, se non addirittura impossibile, che l'America's Cup più controversa della storia della vela domenica molli gli ormeggi.

Bertelli, non è questa la Coppa America che vi avevano raccontato e ci si era immaginati.
«Sono dei bischeri (si trattiene, ndr ). Con Max Sirena, lo skipper, in questi giorni parlavamo delle vecchie proteste: in confronto a questa edizione, erano roba da fumetto...».

Ricapitolando: i kiwi si sono inventati i timoni che fanno letteralmente volare gli Ac72 fuori dall'acqua; Luna Rossa, comprando il progetto dei neozelandesi per recuperare il tempo perduto, li ha sviluppati con soddisfazione; Oracle, rimasto spiazzato, ha fatto modificare il Protocollo in modo da non rimanere indietro ma le regole di stazza possono essere cambiate solo con l'unanimità dei team. Che non c'è. Voi e i kiwi avete protestato ma la giuria si riunirà solo lunedì 8, ventiquattr'ore dopo la prima regata.
«L'hanno fatto apposta! Se noi accettiamo di andare in acqua domenica, sarà considerata tacita approvazione del cambiamento delle regole. Ma noi mica siamo scemi! Con chi pensano di avere a che fare?!».

Che strategia avete messo a punto con gli avvocati, quindi?
«Abbiamo già deciso tutto: se i giudici non esamineranno la nostra protesta e quella dei neozelandesi prima di domenica, noi non regatiamo. E, senza Luna Rossa, la Vuitton Cup non comincia».

Che abbiate ragione, sembra lapalissiano.
«Non abbiamo ragione! Abbiamo un milione di volte ragione! Noi e i kiwi. Le modifiche unilaterali al Protocollo, aggiungere cento chili in barca per permettere a Oracle di far funzionare decentemente i loro timoni... Non esiste! Che la giuria non ci dia udienza prima di lunedì è folle! Folle! E le dirò di più... »

Prego.
«I nostri timoni, che sono stati fatti nel rispetto del Protocollo in vigore, con le nuove regole non sarebbero stazzabili!».

Accipicchia, che caos.
«Ah ma noi a queste condizioni in acqua non scendiamo. Troppi giochini, troppe furbizie: così non mi piace. Sappiamo tutti che il defender, storicamente, si è sempre preso dei vantaggi ma quando è troppo è troppo. Una sola cosa è certa: questa sarà la prima e ultima Coppa America sugli Ac72. Glielo posso garantire».

Ha mai pensato di lasciar perdere? Di mandare tutti a quel paese e far regatare Oracle contro se stesso specchiandosi nell'acqua della baia come Narciso nella fonte?
«Ci ho pensato, sì. Ma poi ho fatto un'altra riflessione: abbiamo penato tanto per arrivare fino a qui. Max ha fatto un gran lavoro con il team, ci siamo spaccati la schiena per far funzionare una barca che è un pericoloso manufatto industriale. Oggi vado a San Francisco. Come faccio a dire a ragazzi che sono lì da mesi che non si regata? No, non farla del tutto sarebbe un peccato».

Oltre che un costo. Il danno, comunque, non è solo vostro.
«Immagino la faccia dello sponsor, Vuitton...».

Gli organizzatori americani, dopo l'incidente di Artemis, hanno già dovuto rimborsare i biglietti per i match di Vuitton Cup che non saranno mai disputati...
«Ma tanto a loro, agli americani, cosa gliene frega? Fin qui ne hanno combinata una più di Bertoldo: una più, una meno...».

La storia dell'America's Cup è zeppa di colpi bassissimi e match race tra avvocati.
«Ma così oltre le regole non si era mai andati. Mai!».

Perché si è arrivati a questo punto, secondo lei? Perché si è perso ogni ritegno?
«Colpa dell'egocentrismo e dell'egoismo sfrenato di certe persone. Si è totalmente perso di vista il senso delle regole e del gioco».

L'immagine di Paul Cayard, molto amato in Italia dai tempi del Moro di Venezia, oggi manager di Artemis, ne esce parecchio offuscata.
«Cayard ha la sua parte di responsabilità, e non è marginale. Come challenger of records, cioé rappresentante di noi sfidanti, ha difeso solo i suoi interessi, altro che quelli dei team! Fa il piangina e intanto dice sì a tutto ciò che chiedono Oracle e Russell Coutts».

Grant Dalton, totem di Team New Zealand, ha addirittura accusato Cayard di voler trarre vantaggio dall'incidente mortale di Simpson.
«E poi dobbiamo sentirci dire da Cayard che Luna Rossa ha un comportamento antisportivo... Noi?! Da che pulpito! No, guardi, qui si è passato ogni limite».

Bertelli, il suo approccio alla Coppa America, oggi, è cambiato?
«No, nonostante tutto è rimasto lo stesso. Io la coppa voglio vincerla, portarla via da lì e poi tornare a ragionare».

Ha in mente una Coppa America numero 35 in Mediterraneo con gli Ac45 o catamarani simili?
«È troppo presto per parlarne: si potrebbero mantenere i multiscafi, ma dovranno essere ragionevoli, non dei mostri».

Perché la vela ha preso questa deriva?
«È tutto l'atteggiamento che sta invadendo il nostro ambiente che non mi garba. Bisogna darci un taglio. In fondo la vela è uno sport, e deve rimanere tale».

Le regole introdotte sulla sicurezza dei velisti la soddisfano?
«L'Ac72 è una barca così estrema... Come si fa a garantire sicurezza assoluta all'equipaggio? È la classe che è sbagliata. E poi io mi chiedo: quelli di Artemis non hanno ancora la barca ma vogliono fare le regate, senza essersi mai allenati, senza conoscere il mezzo, senza saperlo far volare sull'acqua... Ma si rendono minimamente conto del rischio che corrono? E del rischio che farebbero correre a noi?».

Suo figlio Giulio fa parte del team di terra di Luna Rossa. Se le chiedesse di salire a bordo?
«Se ci vuole salire, ci salga. Non glielo impedirei. Ma ho paura per tutti i ragazzi, mica solo per mio figlio».

Morale?
«C'è poco da fare: non resta che vincere e ricominciare tutto da capo».

 

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