C'ERA UNA VOLTA L'AMERICA - MARIO BELLINI, GENIO DEL DESIGN E DELL'ARCHITETTURA ITALICA, SPOLVERA L'ARCHIVIO E RIPESCA UN BELLISSIMO FOTO-REPORTAGE DALLA NEW YORK DI WAHROL ALLA LOS ANGELES DELLE CONIGLIETTE DI HEFNER.

Testo e foto di Mario Bellini per "Abitare"

Erano gli anni di Arancia meccanica e le nostre facce, le folte barbe nere e rosse, di Francesco Binfarè, di Davide Mosconi e del suo assistente Fossati, gli abiti non convenzionali - come l'eterna salopette quasi bianca di Davide - non contribuivano certo a renderci rassicuranti. A rendere rassicurante un quartetto assatanato di trentenni, armato fino ai denti di macchine fotografiche, registratori, microfoni e cineprese, deciso a ogni imprudenza e impudenza pur di raggiungere lo scopo: comprendere e documentare gli stili di vita degli americani, violando case e chiese, attraversando in un mese villaggi, città e Stati, da New York a Los Angeles.

Allora il Grande Fratello e l'incursione mediatica nell'intimità domestica non erano ancora di attualità. Suonare alla porta di chiese e sagrestie di varie confessioni, di case di persone sconosciute era per noi l'unico e più efficace sistema per entrare in contatto con le realtà abitative della gente, soprattutto della gente comune che non poteva essere contattata tramite segretarie e press agent.

Ma tutti, indistintamente, percepivano il nostro comportamento come un minaccioso tentativo di incursione nella privacy della comunità o personale. E spesso reagivano chiamando la polizia che ci piombava subito addosso e si placava solo alla vista di una lettera "magica". Il nostro passepartout o lasciapassare era la lettera del MoMA che mi accreditava come l'autore di un progetto di ricerca sul modo di abitare (e di vivere) negli Stati Uniti. Quella lettera, che ho ritrovato nei miei ingialliti appunti di viaggio, ci ha salvato più volte dal rischio di finire dietro le sbarre per "violazione di domicilio" o "comportamento pericoloso".

Era il 1972, l'anno della storica mostra del MoMA di New York curata da Emilio Ambasz: "Italy: the New Domestic Landscape", la mostra in cui presentai lo spazio-mobile "Kar-a-sutra", destinato a rivoluzionare il mondo dell'automobile con la nascita negli anni successivi del cosiddetto monovolume.

Fu proprio in occasione dello sbarco ufficiale della cultura italiana a New York che pensai a un viaggio di esplorazione nella complessa realtà del continente americano. L'enorme quantità di documenti, foto, filmati e interviste, allora raccolti con l'accanimento e l'occhio del reportage di attualità, rimasti poi, ahimè, troppo a lungo nei nostri cassetti o nel frigorifero di Davide Mosconi e andati in gran parte distrutti con le vicende personali, ritorna ora in superficie con l'inevitabile valore di documento storico.

Per anni mi sono rammaricato di non essere riuscito a rendere pubblico il resoconto di un viaggio così singolare. Ma adesso, a trentatrè anni di distanza, il ritrovamento di parte del materiale, quello da me registrato con la Hasselblad (malauguratamente rubatami a Chicago e inevitabilmente ricomperata con tutti gli obiettivi nella stessa città), restituisce la possibilità di leggere gli stessi documenti in una luce completamente nuova. Si rivela un'America che oggi non c'è più: l'America che abitava l'utopia.

Utopia era essere hippy e occupare le sfarzose ville di Beverly Hills con i soldi di papà;
utopia era - ed è tanto più oggi - Arcosanti, la città mai nata di Paolo Soleri; utopia era vivere in mobile home, ovvero tradire il mito americano della vita on the road finendo la propria esistenza di povero pensionato in squallidi parcheggi di roulotte con le ruote inchiodate; utopia era la casa-harem di Hugh Hefner, il fondatore di Playboy, simbolo internazionale di un voyeuristico quanto inoffensivo erotismo.

Una storia a parte rappresentano le immagini dello studio di Andy Warhol, che oggi fa pensare più al quartier generale di quello che stava per diventare un grande fenomeno del mercato dell'arte, che agli ambienti di lavoro di un personaggio trasgressivo della Pop Art.



A tanti anni di distanza avrei voglia di tornare sui miei passi e cercare di capire che fine ha fatto quell'America. Rientrare nelle stesse case di Beverly Hills alla ricerca dei fantasmi degli hippy, vedere quanta polvere si è depositata sui miti erotici di Hefner, ripassare sui marciapiedi di Sunset Boulevard già affollati da santoni e discepoli cinicamente intenti a mercificare la propria fede. Come e quanto la "American way of life" è cambiata oggi?

Esistono ancora le tecno-baraccopoli su ruote dei pensionati? Ci sono ancora gli eroici studenti-operai di architettura disposti a condividere il sogno di Paolo Soleri o Arcosanti si è estinta nella virtualità del suo sito Internet? Per rispondere a queste e a nuove domande metto a disposizione la "lettera magica" del MoMA per chi volesse ricominciare da capo lo stesso viaggio. Con la promessa di non disperderne le tracce.


Dagospia 14 Aprile 2005