MAI DIRE RAI - LA BATTAGLIA DEL TG1, LO SCONTRO MIMUN-ROGNONI, IL DUELLO SU DANIELA TAGLIAFICO VICE-DIRETTORE E LA FESTA DI BADALONI CON PRODI - SI CAMBIA, DAL "PANINO" AI "DUE BIDONI"? - IL COMPUTER SPARITO.
Paolo Conti per il "Corriere della Sera"
Ma perché appena si avvicinano le elezioni il barometro del Tg1 comincia a registrare tempesta? E perché a Roma già si organizzano cene per festeggiare chi, si dice, potrebbe essere il futuro direttore di quel telegiornale se la maggioranza dovesse cambiare? Risponde serafico Albino Longhi, per ben tre volte (caso unico) direttore del tg ammiraglio Rai: «Perché il Tg1 è il punto di riferimento storico del cittadino italiano medio su ciò che avviene in Italia. Per lui è come aprire un rubinetto d'acqua e bere quando si ha sete». Prendendo per buona la parabola longhiana, il Tg1 alimenta il metabolismo nazionale senza discostarsi mai dalla fonte della maggioranza del momento.
Lo testimoniò Bruno Vespa nel 1992, ai tempi della sua direzione del Tg1, mettendo a fuoco un'indimenticata definizione: «Il mio editore di riferimento è la Dc». Forse per questo l'attuale direttore del Tg1 Clemente Mimun (area Forza Italia, a quel timone da quattro anni) in pochi giorni è entrato in rotta di collisione con due uomini Ds, quindi il partito di maggioranza relativa nel caso in cui l'Unione vincesse. Prima il «Tg1 di m...» firmato da Fabrizio Morri, responsabile della comunicazione del Botteghino. Poi lo scontro con Carlo Rognoni, consigliere di amministrazione Rai fassiniano.
Si è trattato di un duello su Daniela Tagliafico, ex vicedirettore (ovviamente area Ds) di Mimun, ora alle Tribune politiche, che si dimise dal Tg1 il 25 gennaio 2001 in polemica col direttore. Mimun racconta di aver avuto da Rognoni il «cortese invito a valutare l'opportunità di attribuire a un giornalista di area diessina una vicedirezione del Tg». Rognoni replica: «Sai di aver avuto un vicedirettore che si è dimesso per protesta contro il tuo modo di fare il tg, non ti ho chiesto posti ma di rasserenare il clima».
Per decodificare come si deve lo scontro, bisogna ricordare che gli equilibri interni Rai prevedono un rito politico: a un direttore della maggioranza va affiancato un vice dell'opposizione. O viceversa. Esempio: Antonio Di Bella, Tg3 (Ds), ha un vice come Angelo Belmonte (An). Il Tg1 in questo momento rappresenta un'anomalia: con Mimun c'è «solo» Fabrizio Ferragni, Margherita. Senza Daniela Tagliafico accanto a Mimun manca un Ds. È, per farla breve, anche (ma non solo) un problema di contrappesi.
E tutto questo è appena l'incipit. Paolo Gentiloni, presidente della commissione di Vigilanza, Margherita, ha decretato la morte del «panino», schema politico informativo dell'informazione Rai (notizia sul governo-reazione dall'opposizione-replica della maggioranza) contestatissimo a sinistra. «E il panino è nato al Tg1. La redazione ha sollevato il problema in assemblea» spiega Alessandra Mancuso, presidente del Comitato di redazione: «Per non parlare dei casi di dequalificazione professionale di tanti colleghi, noti al Consiglio di amministrazione e alla commissione di Vigilanza. Lesioni professionali che impoveriscono anche il prodotto».
In antitesi al «panino», c'è chi ora vorrebbe riabilitare l'antico sistema dei due «bidoni», altro termine storico del Tg1. Ovvero: un pastone politico dedicato al centrodestra, un secondo per il centrosinistra. Par condicio da separati in casa. E, se vogliamo, proprio il cinquanta-cinquanta che vorrebbe Gentiloni. Mimun ribatte la palla: «Il panino? Di fatto non esiste. Da quando ero ragazzo conosco il pastone. Il sistema dei due "bidoni"? Perché no: ma spesso uno dei due schieramenti, così mi pare, ha posizioni assai variegate sullo stesso problema. In quanto al panino, noi non chiudiamo sempre con la maggioranza. E, se qualcuno seguisse bene altri tg, per esempio il Tg3, scoprirebbe che si finisce sempre con l'opposizione. E, comunque sia, mi rimetterò alle decisioni della Vigilanza».
Altre nubi si addensano sul Tg1 anche per ragioni diverse dalla politica. Nella notte tra mercoledì e giovedì è sparito il computer personale di Maria Grazia Mazzola, esperta di giudiziaria e di mafia dal 1994. «Episodio inquietante» dice il Comitato di redazione, poiché si trattava di un computer fisso molto ingombrante ma ricco di una banca-dati sul racket e la mafia in Lombardia.
Ma non tutti al Tg1 si stracciano le vesti. C'è chi festeggia e guarda al futuro. Giovedì sera, in un pub irlandese nel quartiere Prati, Piero Badaloni, ex Tg1, ha festeggiato il suo rientro a Roma dopo la fine del suo incarico di corrispondente Rai da Berlino: vino rosso, risate, ricordi, ballate dublinesi, maliziosa citazione su Dagospia come accade per certi salotti capitolini. Di Badaloni, ex presidente ulivista della regione Lazio, si parla come candidato in pectore dell'Unione per una futura direzione del Tg1. E gli invitati di giovedì erano tutti di quell'area.
A partire da Romano Prodi, vecchio amico di Badaloni anche ai tempi di Bruxelles (uno presidente della Commissione europea e l'altro corrispondente Rai) apparso a tarda sera ma festeggiatissimo. Per passare al consigliere di amministrazione Nino Rizzo Nervo, area Margherita, al suo predecessore e attuale senatore dell'Unione Luigi Zanda, anche lui rutelliano. O a David Sassoli con Maria Luisa Busi e proprio Daniela Tagliafico. E infine l'ex presidente ulivista della Rai, Roberto Zaccaria, accompagnato da Monica Guerritore appena uscito dal Teatro Quirino dove è in scena con la sua «Giovanna D'Arco».
Sullo sfondo della battaglia sul Tg1 c'è il braccio di ferro sulla par condicio, soprattutto dopo le sollecitazioni di Ciampi. Tocca alla Vigilanza votare il regolamento mercoledì. E la Rai aspetta. Ma ai piani alti di Viale Mazzini qualcuno prova a mettere insieme qualche dato: sì, certo, Berlusconi è apparso a Unomattina, ha telefonato a Floris e a Isoradio, è andato a «Porta a porta» confrontandosi con Bertinotti dopo il no di Fassino e Rutelli. Ma poi Fassino e Veltroni sono stati ospitati da Fabio Fazio, sempre Fassino è andato da Vespa. E Petruccioli ha annullato il «non-confronto» Berlusconi-D'Alema da «Alice» di Anna La Rosa.... Perché poi c'è una interessante novità, parola del massmediologo Klaus Davi: anche Berlusconi, come i leader Usa, sta scoprendo la forza di penetrazione politica delle radio private. Sintonizzarsi per credere nei prossimi giorni.
Dagospia 30 Gennaio 2006
Ma perché appena si avvicinano le elezioni il barometro del Tg1 comincia a registrare tempesta? E perché a Roma già si organizzano cene per festeggiare chi, si dice, potrebbe essere il futuro direttore di quel telegiornale se la maggioranza dovesse cambiare? Risponde serafico Albino Longhi, per ben tre volte (caso unico) direttore del tg ammiraglio Rai: «Perché il Tg1 è il punto di riferimento storico del cittadino italiano medio su ciò che avviene in Italia. Per lui è come aprire un rubinetto d'acqua e bere quando si ha sete». Prendendo per buona la parabola longhiana, il Tg1 alimenta il metabolismo nazionale senza discostarsi mai dalla fonte della maggioranza del momento.
Lo testimoniò Bruno Vespa nel 1992, ai tempi della sua direzione del Tg1, mettendo a fuoco un'indimenticata definizione: «Il mio editore di riferimento è la Dc». Forse per questo l'attuale direttore del Tg1 Clemente Mimun (area Forza Italia, a quel timone da quattro anni) in pochi giorni è entrato in rotta di collisione con due uomini Ds, quindi il partito di maggioranza relativa nel caso in cui l'Unione vincesse. Prima il «Tg1 di m...» firmato da Fabrizio Morri, responsabile della comunicazione del Botteghino. Poi lo scontro con Carlo Rognoni, consigliere di amministrazione Rai fassiniano.
Si è trattato di un duello su Daniela Tagliafico, ex vicedirettore (ovviamente area Ds) di Mimun, ora alle Tribune politiche, che si dimise dal Tg1 il 25 gennaio 2001 in polemica col direttore. Mimun racconta di aver avuto da Rognoni il «cortese invito a valutare l'opportunità di attribuire a un giornalista di area diessina una vicedirezione del Tg». Rognoni replica: «Sai di aver avuto un vicedirettore che si è dimesso per protesta contro il tuo modo di fare il tg, non ti ho chiesto posti ma di rasserenare il clima».
Per decodificare come si deve lo scontro, bisogna ricordare che gli equilibri interni Rai prevedono un rito politico: a un direttore della maggioranza va affiancato un vice dell'opposizione. O viceversa. Esempio: Antonio Di Bella, Tg3 (Ds), ha un vice come Angelo Belmonte (An). Il Tg1 in questo momento rappresenta un'anomalia: con Mimun c'è «solo» Fabrizio Ferragni, Margherita. Senza Daniela Tagliafico accanto a Mimun manca un Ds. È, per farla breve, anche (ma non solo) un problema di contrappesi.
E tutto questo è appena l'incipit. Paolo Gentiloni, presidente della commissione di Vigilanza, Margherita, ha decretato la morte del «panino», schema politico informativo dell'informazione Rai (notizia sul governo-reazione dall'opposizione-replica della maggioranza) contestatissimo a sinistra. «E il panino è nato al Tg1. La redazione ha sollevato il problema in assemblea» spiega Alessandra Mancuso, presidente del Comitato di redazione: «Per non parlare dei casi di dequalificazione professionale di tanti colleghi, noti al Consiglio di amministrazione e alla commissione di Vigilanza. Lesioni professionali che impoveriscono anche il prodotto».
In antitesi al «panino», c'è chi ora vorrebbe riabilitare l'antico sistema dei due «bidoni», altro termine storico del Tg1. Ovvero: un pastone politico dedicato al centrodestra, un secondo per il centrosinistra. Par condicio da separati in casa. E, se vogliamo, proprio il cinquanta-cinquanta che vorrebbe Gentiloni. Mimun ribatte la palla: «Il panino? Di fatto non esiste. Da quando ero ragazzo conosco il pastone. Il sistema dei due "bidoni"? Perché no: ma spesso uno dei due schieramenti, così mi pare, ha posizioni assai variegate sullo stesso problema. In quanto al panino, noi non chiudiamo sempre con la maggioranza. E, se qualcuno seguisse bene altri tg, per esempio il Tg3, scoprirebbe che si finisce sempre con l'opposizione. E, comunque sia, mi rimetterò alle decisioni della Vigilanza».
Altre nubi si addensano sul Tg1 anche per ragioni diverse dalla politica. Nella notte tra mercoledì e giovedì è sparito il computer personale di Maria Grazia Mazzola, esperta di giudiziaria e di mafia dal 1994. «Episodio inquietante» dice il Comitato di redazione, poiché si trattava di un computer fisso molto ingombrante ma ricco di una banca-dati sul racket e la mafia in Lombardia.
Ma non tutti al Tg1 si stracciano le vesti. C'è chi festeggia e guarda al futuro. Giovedì sera, in un pub irlandese nel quartiere Prati, Piero Badaloni, ex Tg1, ha festeggiato il suo rientro a Roma dopo la fine del suo incarico di corrispondente Rai da Berlino: vino rosso, risate, ricordi, ballate dublinesi, maliziosa citazione su Dagospia come accade per certi salotti capitolini. Di Badaloni, ex presidente ulivista della regione Lazio, si parla come candidato in pectore dell'Unione per una futura direzione del Tg1. E gli invitati di giovedì erano tutti di quell'area.
A partire da Romano Prodi, vecchio amico di Badaloni anche ai tempi di Bruxelles (uno presidente della Commissione europea e l'altro corrispondente Rai) apparso a tarda sera ma festeggiatissimo. Per passare al consigliere di amministrazione Nino Rizzo Nervo, area Margherita, al suo predecessore e attuale senatore dell'Unione Luigi Zanda, anche lui rutelliano. O a David Sassoli con Maria Luisa Busi e proprio Daniela Tagliafico. E infine l'ex presidente ulivista della Rai, Roberto Zaccaria, accompagnato da Monica Guerritore appena uscito dal Teatro Quirino dove è in scena con la sua «Giovanna D'Arco».
Sullo sfondo della battaglia sul Tg1 c'è il braccio di ferro sulla par condicio, soprattutto dopo le sollecitazioni di Ciampi. Tocca alla Vigilanza votare il regolamento mercoledì. E la Rai aspetta. Ma ai piani alti di Viale Mazzini qualcuno prova a mettere insieme qualche dato: sì, certo, Berlusconi è apparso a Unomattina, ha telefonato a Floris e a Isoradio, è andato a «Porta a porta» confrontandosi con Bertinotti dopo il no di Fassino e Rutelli. Ma poi Fassino e Veltroni sono stati ospitati da Fabio Fazio, sempre Fassino è andato da Vespa. E Petruccioli ha annullato il «non-confronto» Berlusconi-D'Alema da «Alice» di Anna La Rosa.... Perché poi c'è una interessante novità, parola del massmediologo Klaus Davi: anche Berlusconi, come i leader Usa, sta scoprendo la forza di penetrazione politica delle radio private. Sintonizzarsi per credere nei prossimi giorni.
Dagospia 30 Gennaio 2006