SCARAMELLA PARLA PER SEI ORE, MA NON CONVINCE IL MAGISTRATO - "LA MIA FONTE ERA LITIVINENKO" - ESSENDO MORTO, L'EX AGENTE RUSSO NON LO PUÒ SMENTIRE - I MISTERI SUL "MANDANTE POLITICO ITALIANO" DEL PIANO DI ATTENTATO CONTRO DI LUI E GUZZANTI.
Carlo Bonini per "la Repubblica"
Nel carcere di Regina Coeli, dopo tre giorni di isolamento, Mario Scaramella parla, parla e - almeno in questo concordano i presenti all´interrogatorio di garanzia - sembra non voglia smetterla più. Sei ore filate. Ma a tirare le somme, l´esito di un interminabile pomeriggio è molto lontano dall´approdo che l´ex consulente della Commissione Mitrokhin immaginava o voleva lasciar credere di immaginare.
Il suo avvocato, Sergio Rastrelli, lascia il carcere con parole di routine («È stato un confronto estremamente lungo, serio e collaborativo. Riteniamo che Scaramella abbia apportato tutta la propria conoscenza dei fatti in termini estremamente puntuali e in funzione di questo rimaniamo profondamente ottimisti») e deposita una richiesta di scarcerazione su cui il gip deciderà entro i prossimi cinque giorni, ma su cui, significativamente, il pubblico ministero Pietro Saviotti ha espresso immediatamente parere negativo.
Per dirla con le parole di un inquirente, «la difesa di Scaramella e la storia che oggi propone, non spostano di nulla il quadro indiziario che lo accusa, semmai lo rafforzano». Anche perché, costretto oggi a difendersi da un´accusa a suo modo residuale, ma molto concreta (la calunnia nei confronti del cittadino ucraino Alexsandr Talik), rispetto al cuore della vicenda che lo vede protagonista (la costruzione di una calunnia nei confronti di Romano Prodi), Scaramella è costretto a una trovata che non convince la pubblica accusa e, soprattutto, non regge alla prova dei fatti.
Per liberarsi dell´accusa di calunnia che lo ha portato in carcere, l´ex consulente della Mitrokhin indica infatti in un morto, Alexandr Litvinenko, la fonte principale delle notizie che - a suo dire - lo «convinsero» dell´esistenza di un piano dei Servizi russo-ucraini diretto alla sua eliminazione fisica e a quella del senatore Paolo Guzzanti.
Un piano che avrebbe appunto avuto quale snodo Alexandr Talik, cittadino ucraino con un passato nei Servizi russi e residente a Napoli, dove, come falsamente accreditato dallo stesso Scaramella in due circostanze, lo stesso Talik avrebbe tentato di mettere insieme una piccola santabarbara. Ora con granate provenienti dall´Ucraina (e fatte sequestrare a Teramo), ora con armi automatiche ammassate in un appartamento di vico Ventaglieri.
Nella difesa proposta da Scaramella, l´ex colonnello Litvinenko e la corona di fonti che l´ex consulente della Mitrokhin aveva raccolto intorno a sé - il cittadino russo Euvgenij Limarev; il fratello di Litvinenko, Maxim; i fratelli ucraini residenti a Roma Vlodymour e Tarak Kobik - diventano insomma lo strumento per accreditare un ragionamento che suona così: "Ricevevo informazioni da qualificate fonti russe e, quando l´ho ritenuto opportuno, come nel caso di Talik, non ho fatto che girarle alla polizia italiana. Che altro potevo fare?".
Ebbene, la storia - per quel che riferiscono fonti della Procura - non sembra aver retto a nessuna delle contestazioni mosse durante l´interrogatorio. Scaramella avrebbe ammesso che i suoi rapporti con Alexandr Talik risalgono al 2004, un anno prima cioè di indicarlo come il reclutatore dei suoi fantomatici assassini.
Non solo, l´ex consulente avrebbe goffamente cercato di giustificare le ragioni per le quali, nemmeno un mese fa, a fine novembre, avvertì l´urgenza di parlare telefonicamente con lo stesso Talik (che, a suo dire, era l´uomo che lo avrebbe voluto morto) dopo aver saputo che la Digos di Roma intendeva ascoltarlo.
Soprattutto, Scaramella avrebbe faticosamente riconosciuto - anche di fronte alla trascrizione di alcune conversazioni telefoniche avute con la moglie - che «effettivamente, già nel novembre del 2005, la sensazione di pericolo per la sua vita e per quella del senatore Guzzanti si era sostanzialmente affievolita». Un´ammissione che, di fatto, chiude l´ex consulente ancor di più in un angolo.
E questo non solo perché Scaramella non rese pubblico il venir meno di quel pericolo, nel novembre del 2005. Ma perché, ancora nell´ottobre scorso, scelse, insieme al senatore Guzzanti, di continuare ad accreditarlo nell´aula del processo che, a Teramo, si sta celebrando nei confronti di quattro ucraini sorpresi con quelle famose granate che - oggi è certo - dovevano accreditare un piano stragista di cartapesta.
Le agenzie di stampa, ieri sera, hanno riferito che durante l´interrogatorio, Scaramella si sarebbe nuovamente soffermato sull´esistenza di un «mandante politico italiano» del piano di attentato nei suoi confronti e nei confronti del senatore Guzzanti. Ma la circostanza viene smentita con nettezza da autorevoli fonti della Procura.
Le stesse che spiegano come il cuore politico della vicenda - dalla costruzione dell´accusa nei confronti di Prodi, ai rapporti tra Scaramella e Guzzanti - sarebbe rimasto assolutamente sullo sfondo dell´interrogatorio, nonostante l´ex consulente avesse mostrato gran voglia di affrontarlo immediatamente. Insistendo - come pure ha fatto - sulla circostanza che tutti i suoi comportamenti sarebbero stati «ispirati al fedele rispetto del mandato ricevuto dalla commissione Mitrokhin».
Il pubblico ministero Pietro Saviotti deciderà nei prossimi giorni quando tornare ad ascoltare Scaramella e, soprattutto, se farlo. Anche perché le fonti di prova raccolte in un mese di indagini della Digos di Roma sono tali - ad avviso della pubblica accusa - da poter smontare e capovolgere la fragile ricostruzione offerta ieri dall´ex consulente.
Dagospia 28 Dicembre 2006
Nel carcere di Regina Coeli, dopo tre giorni di isolamento, Mario Scaramella parla, parla e - almeno in questo concordano i presenti all´interrogatorio di garanzia - sembra non voglia smetterla più. Sei ore filate. Ma a tirare le somme, l´esito di un interminabile pomeriggio è molto lontano dall´approdo che l´ex consulente della Commissione Mitrokhin immaginava o voleva lasciar credere di immaginare.
Il suo avvocato, Sergio Rastrelli, lascia il carcere con parole di routine («È stato un confronto estremamente lungo, serio e collaborativo. Riteniamo che Scaramella abbia apportato tutta la propria conoscenza dei fatti in termini estremamente puntuali e in funzione di questo rimaniamo profondamente ottimisti») e deposita una richiesta di scarcerazione su cui il gip deciderà entro i prossimi cinque giorni, ma su cui, significativamente, il pubblico ministero Pietro Saviotti ha espresso immediatamente parere negativo.
Per dirla con le parole di un inquirente, «la difesa di Scaramella e la storia che oggi propone, non spostano di nulla il quadro indiziario che lo accusa, semmai lo rafforzano». Anche perché, costretto oggi a difendersi da un´accusa a suo modo residuale, ma molto concreta (la calunnia nei confronti del cittadino ucraino Alexsandr Talik), rispetto al cuore della vicenda che lo vede protagonista (la costruzione di una calunnia nei confronti di Romano Prodi), Scaramella è costretto a una trovata che non convince la pubblica accusa e, soprattutto, non regge alla prova dei fatti.
Per liberarsi dell´accusa di calunnia che lo ha portato in carcere, l´ex consulente della Mitrokhin indica infatti in un morto, Alexandr Litvinenko, la fonte principale delle notizie che - a suo dire - lo «convinsero» dell´esistenza di un piano dei Servizi russo-ucraini diretto alla sua eliminazione fisica e a quella del senatore Paolo Guzzanti.
Un piano che avrebbe appunto avuto quale snodo Alexandr Talik, cittadino ucraino con un passato nei Servizi russi e residente a Napoli, dove, come falsamente accreditato dallo stesso Scaramella in due circostanze, lo stesso Talik avrebbe tentato di mettere insieme una piccola santabarbara. Ora con granate provenienti dall´Ucraina (e fatte sequestrare a Teramo), ora con armi automatiche ammassate in un appartamento di vico Ventaglieri.
Nella difesa proposta da Scaramella, l´ex colonnello Litvinenko e la corona di fonti che l´ex consulente della Mitrokhin aveva raccolto intorno a sé - il cittadino russo Euvgenij Limarev; il fratello di Litvinenko, Maxim; i fratelli ucraini residenti a Roma Vlodymour e Tarak Kobik - diventano insomma lo strumento per accreditare un ragionamento che suona così: "Ricevevo informazioni da qualificate fonti russe e, quando l´ho ritenuto opportuno, come nel caso di Talik, non ho fatto che girarle alla polizia italiana. Che altro potevo fare?".
Ebbene, la storia - per quel che riferiscono fonti della Procura - non sembra aver retto a nessuna delle contestazioni mosse durante l´interrogatorio. Scaramella avrebbe ammesso che i suoi rapporti con Alexandr Talik risalgono al 2004, un anno prima cioè di indicarlo come il reclutatore dei suoi fantomatici assassini.
Non solo, l´ex consulente avrebbe goffamente cercato di giustificare le ragioni per le quali, nemmeno un mese fa, a fine novembre, avvertì l´urgenza di parlare telefonicamente con lo stesso Talik (che, a suo dire, era l´uomo che lo avrebbe voluto morto) dopo aver saputo che la Digos di Roma intendeva ascoltarlo.
Soprattutto, Scaramella avrebbe faticosamente riconosciuto - anche di fronte alla trascrizione di alcune conversazioni telefoniche avute con la moglie - che «effettivamente, già nel novembre del 2005, la sensazione di pericolo per la sua vita e per quella del senatore Guzzanti si era sostanzialmente affievolita». Un´ammissione che, di fatto, chiude l´ex consulente ancor di più in un angolo.
E questo non solo perché Scaramella non rese pubblico il venir meno di quel pericolo, nel novembre del 2005. Ma perché, ancora nell´ottobre scorso, scelse, insieme al senatore Guzzanti, di continuare ad accreditarlo nell´aula del processo che, a Teramo, si sta celebrando nei confronti di quattro ucraini sorpresi con quelle famose granate che - oggi è certo - dovevano accreditare un piano stragista di cartapesta.
Le agenzie di stampa, ieri sera, hanno riferito che durante l´interrogatorio, Scaramella si sarebbe nuovamente soffermato sull´esistenza di un «mandante politico italiano» del piano di attentato nei suoi confronti e nei confronti del senatore Guzzanti. Ma la circostanza viene smentita con nettezza da autorevoli fonti della Procura.
Le stesse che spiegano come il cuore politico della vicenda - dalla costruzione dell´accusa nei confronti di Prodi, ai rapporti tra Scaramella e Guzzanti - sarebbe rimasto assolutamente sullo sfondo dell´interrogatorio, nonostante l´ex consulente avesse mostrato gran voglia di affrontarlo immediatamente. Insistendo - come pure ha fatto - sulla circostanza che tutti i suoi comportamenti sarebbero stati «ispirati al fedele rispetto del mandato ricevuto dalla commissione Mitrokhin».
Il pubblico ministero Pietro Saviotti deciderà nei prossimi giorni quando tornare ad ascoltare Scaramella e, soprattutto, se farlo. Anche perché le fonti di prova raccolte in un mese di indagini della Digos di Roma sono tali - ad avviso della pubblica accusa - da poter smontare e capovolgere la fragile ricostruzione offerta ieri dall´ex consulente.
Dagospia 28 Dicembre 2006