DIMMI CHE MARCHIO VUOI E IO TI RISCRIVO IL FILM - NASCE IL 'MOVIE PLACEMENT WRITER', INSERISCE (ANCHE CON FANTASIA) MARCHE DI PRODOTTO NEI FILM CHE IL GRANDE PUBBLICO SCEGLIE NELLE SALE - DAL PALLONE DI "CAST AWAY" ALLA PASTA DI "IO E NAPOLEONE".
Marco A. Capitani per "Italia Oggi"
Taglia e cuce, ma non è un sarto. Si tratta della nuova figura professionale del cinema, anche italiano: il movie placement copywriter, ossia lo scrittore che si occupa prevalentemente di sceneggiature sul grande schermo. Lavora a contatto con le grandi produzioni e le aziende investitrici, per inserire (anche con fantasia) marche di prodotto nei film che il grande pubblico sceglie nelle sale.
Napoleone mangia spaghetti campani. Alcuni esempi? La pasta Garofalo in "N Io e Napoleone". Marchio che esisteva già all'epoca, ma non poteva essere conosciuta Oltralpe. Il videofonino Tim di "Quo vadis baby" e ancora il pallone Wilson di "Cast away", che addirittura diventa un vero personaggio, facendo compagnia al naufrago Tom Hanks. Storia che racconta, peraltro, l'avventura di un dipendente FedEx su un'isola deserta, disperso assieme ai pacchi chiusi della compagnia di spedizione. Con il loro contenuto non soltanto il protagonista si sostenta, ma addirittura dopo il salvataggio consegna l'ultimo pacco ancora intatto. Morale del product placement FedEx: anche in situazioni estreme la società porta a termine il suo incarico.
Chi preferisce i cattivi a Scamarcio. «Seleziono i lungometraggi e individuo le scene adatte ad accogliere un prodotto», rivela a ItaliaOggi Francesco Brambilla, movie placement copywriter dell'agenzia specializzata Camelot. «Certe volte creo anche situazioni ad hoc».
A proporsi alle agenzie di product placement sono le stesse case di produzione, che conferiscono poi il mandato di ricercare gli inserzionisti. «Spesso i produttori ci danno mandato esclusivo, per trovare aziende in qualsiasi settore, oppure preferiscono limitarlo solo ad alcune scene», precisa Brambilla. «Il product placement diventa fattibile se è un genere di film che può piacere, ha un cast che attira pubblico o si appoggia a una buona strategia distributiva».
In ordine d'importanza, per appeal sul pubblico, ci sono il protagonista e il regista, il co-protagonista scendendo fino alle comparse. «Alcuni brand preferiscono affiancare un ruolo minore, ma buono, piuttosto che un protagonista vampiro», prosegue il copywriter di Camelot. «Un personaggio di oggi che muove sicuramente il pubblico è Riccardo Scamarcio, ma c'è anche chi imposta il suo abbinamento solo con personaggi cattivi, come pianifica Budweiser all'estero».
Gli investimenti. Il valore del product placement si estende anche alla post-produzione, con una strategia di promozioni e merchandising. Direct line, per esempio, ha creato uno stand in alcune sale che proiettavano "Commedia sexy" e ha offerto agli spettatori un numero dedicato, per farsi fare un preventivo sull'assicurazione.
Se gli investimenti per i marchi che vogliono comparire nei lungometraggi oscillano dai 20 mila euro (solo per essere visibili) fino ai 350 mila (per far parte di un'azione centrale del film), nel 2006 il settore ha portato a Camelot 3 milioni di euro. Le stime per quest'anno, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, prevedono una crescita del 300%.
Il flop (mancato) del product placement. «Per "Et" i produttori avevano deciso che le sue caramelle preferite sarebbe state m&m's, ma il marchio non ha voluto rischiare. La piccola azienda che l'ha sostituito ha quintuplicato dopo le vendite», ribadisce il copywriter. «Il pubblico si sente coinvolto dalla storia nel vedere un oggetto che magari possiede. Quelli italiani, in particolare, non si sentono urtati dalla presenza di marche, perché sostengono di non esserne influenzati». Esistono poi forse più preconcetti verso le produzioni tricolore, secondo Brambilla, perché da quelle americane ci si aspetta che facciano pubblicità occulta.
Chi spende di più. «L'importante è che l'inserimento di un brand non disturbi lo svolgimento della storia, che il prodotto si presenti in modo simpatico», chiosa l'a.d. Paola Mazzaglia. «I settori che hanno trainato fino a oggi il mercato in Italia sono quelli del largo consumo e delle tlc, perché di più facile inserimento. Ma si affacciano ora i settori della moda e del lusso, che mostrano interesse anche per vere produzioni».
Dagospia 31 Agosto 2007
Taglia e cuce, ma non è un sarto. Si tratta della nuova figura professionale del cinema, anche italiano: il movie placement copywriter, ossia lo scrittore che si occupa prevalentemente di sceneggiature sul grande schermo. Lavora a contatto con le grandi produzioni e le aziende investitrici, per inserire (anche con fantasia) marche di prodotto nei film che il grande pubblico sceglie nelle sale.
Napoleone mangia spaghetti campani. Alcuni esempi? La pasta Garofalo in "N Io e Napoleone". Marchio che esisteva già all'epoca, ma non poteva essere conosciuta Oltralpe. Il videofonino Tim di "Quo vadis baby" e ancora il pallone Wilson di "Cast away", che addirittura diventa un vero personaggio, facendo compagnia al naufrago Tom Hanks. Storia che racconta, peraltro, l'avventura di un dipendente FedEx su un'isola deserta, disperso assieme ai pacchi chiusi della compagnia di spedizione. Con il loro contenuto non soltanto il protagonista si sostenta, ma addirittura dopo il salvataggio consegna l'ultimo pacco ancora intatto. Morale del product placement FedEx: anche in situazioni estreme la società porta a termine il suo incarico.
Chi preferisce i cattivi a Scamarcio. «Seleziono i lungometraggi e individuo le scene adatte ad accogliere un prodotto», rivela a ItaliaOggi Francesco Brambilla, movie placement copywriter dell'agenzia specializzata Camelot. «Certe volte creo anche situazioni ad hoc».
A proporsi alle agenzie di product placement sono le stesse case di produzione, che conferiscono poi il mandato di ricercare gli inserzionisti. «Spesso i produttori ci danno mandato esclusivo, per trovare aziende in qualsiasi settore, oppure preferiscono limitarlo solo ad alcune scene», precisa Brambilla. «Il product placement diventa fattibile se è un genere di film che può piacere, ha un cast che attira pubblico o si appoggia a una buona strategia distributiva».
In ordine d'importanza, per appeal sul pubblico, ci sono il protagonista e il regista, il co-protagonista scendendo fino alle comparse. «Alcuni brand preferiscono affiancare un ruolo minore, ma buono, piuttosto che un protagonista vampiro», prosegue il copywriter di Camelot. «Un personaggio di oggi che muove sicuramente il pubblico è Riccardo Scamarcio, ma c'è anche chi imposta il suo abbinamento solo con personaggi cattivi, come pianifica Budweiser all'estero».
Gli investimenti. Il valore del product placement si estende anche alla post-produzione, con una strategia di promozioni e merchandising. Direct line, per esempio, ha creato uno stand in alcune sale che proiettavano "Commedia sexy" e ha offerto agli spettatori un numero dedicato, per farsi fare un preventivo sull'assicurazione.
Se gli investimenti per i marchi che vogliono comparire nei lungometraggi oscillano dai 20 mila euro (solo per essere visibili) fino ai 350 mila (per far parte di un'azione centrale del film), nel 2006 il settore ha portato a Camelot 3 milioni di euro. Le stime per quest'anno, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, prevedono una crescita del 300%.
Il flop (mancato) del product placement. «Per "Et" i produttori avevano deciso che le sue caramelle preferite sarebbe state m&m's, ma il marchio non ha voluto rischiare. La piccola azienda che l'ha sostituito ha quintuplicato dopo le vendite», ribadisce il copywriter. «Il pubblico si sente coinvolto dalla storia nel vedere un oggetto che magari possiede. Quelli italiani, in particolare, non si sentono urtati dalla presenza di marche, perché sostengono di non esserne influenzati». Esistono poi forse più preconcetti verso le produzioni tricolore, secondo Brambilla, perché da quelle americane ci si aspetta che facciano pubblicità occulta.
Chi spende di più. «L'importante è che l'inserimento di un brand non disturbi lo svolgimento della storia, che il prodotto si presenti in modo simpatico», chiosa l'a.d. Paola Mazzaglia. «I settori che hanno trainato fino a oggi il mercato in Italia sono quelli del largo consumo e delle tlc, perché di più facile inserimento. Ma si affacciano ora i settori della moda e del lusso, che mostrano interesse anche per vere produzioni».
Dagospia 31 Agosto 2007