VITA DI VITTORIO SGARBI SCRITTA DA LUI MEDESIMO
"VALERIO ZURLINI VIDE IN ME L'INTERPRETE IDEALE DI UN FILM CON STEFANIA SANDRELLI E CHARLOTTE RAMPLING."/7
"VALERIO ZURLINI VIDE IN ME L'INTERPRETE IDEALE DI UN FILM CON STEFANIA SANDRELLI E CHARLOTTE RAMPLING."/7
come supplemento alla rivista VANITY FAIR n° 11 - APRILE 1991
E S A U R I T A
L'AMORE - 7
Molte persone che mi vedono in televisione sempre aggressivo e polemico, si domandano: ma Sgarbi è davvero capace di amare? Naturalmente è difficile spiegare che non esiste un essere umano che non ha provato amore, e che perciò anch'io qualche volta sono stato innamorato. Ha scritto una volta Alfred Jarry: "L'amore è una nota senza importanza perché si può ripetere all'infinito". L'esperienza amorosa è in effetti sempre uguale a se stessa: ognuno pensa di vivere un'esperienza d'amore unica, ma non si rende conto che le esperienze d'amore sono tutte uguali. Un'esperienza sarebbe forse rara se avesse qualche stravaganza, ma in amore anche le stravaganze sono sempre uguali e si ripetono all'infinito. Io sono stato innamorato più di una volta nella mia vita: infatti più una persona è egoista (tutti sono egoisti, chi più chi meno) e più ama. Non c'è contraddizione tra egoismo e amore. Però anche l'amore, come tutte le cose, ha tempi molto precisi: non si ama in eterno, a un certo punto la passione amorosa si esaurisce. C'è una poesia di John Donne, Il cuore spezzato, che illustra il mio pensiero sull'amore:
Completamente pazzo è colui che dice
D'essere stato innamorato un'ora,
E non perché l'amore declini così presto,
Ma perché in minor tempo può divorarne dieci;
Chi mai mi crederà, se io vi giuro
Che quella piaga mi è durata un anno?
Chi mai di me non riderebbe, se affermassi
D'aver visto una fiasca di polvere bruciare un giorno intero?
Ah che balocco è un cuore, una volta
Caduto nelle mani dell'amore!
Tutti gli altri dolori fanno posto ad altri
Dolori, e solo un po' ne chiedono per sé;
Essi vengono a noi, ma Amore ci trascina,
Ci inghiotte, e non mastica mai:
A causa sua, come palle incatenate, intere schiere muoiono,
Egli è il tiranno Luccio, i nostri cuori sono Pesciolini.
Se non fosse così, che cosa avvenne
Del cuore mio quando ti vidi per la prima volta?
Portavo un cuore entrando nella stanza,
Ma uscendo dalla stanza più nulla possedevo:
Fosse andato da te, lo so bene, il mio cuore
Forse avrebbe insegnato al tuo cuore a mostrarsi
Verso di me più pietoso: ma l'Amore, ahimè,
Al primo unico soffio lo infranse come vetro.
Ma nulla può accadere al nulla,
Né alcun luogo può essere vuoto.
Per questo penso che il mio petto conservi
Ancora quei frammenti, benché non siano più uniti;
E così come ora gli specchi infranti mostrano
Centinaia di volti minori, così
I frammenti del mio corpo possono scegliere, desiderare e adorare,
Ma dopo un tale amore non posso più amare.
AMICI E NEMICI
I veri amici si vedono nel momento della fortuna, al contrario del luogo comune che vuole che si vedano soltanto nelle avversità. Nella sfortuna ti chiamano i beccamorti per dimostrarti la loro solidarietà. Quelli invece che resistono quando tu sei potente sono i veri amici. Sanno superare l'invidia e la sofferenza di vedere che tu hai più denaro, più successo e più riconoscimenti.
Uno degli amici che ho frequentato e che frequento con maggior piacere è un professore di fisica di una scuola superiore a Ferrara, che dice ironicamente di insegnare metafisica, perché riesce a spiegare sempre soltanto metà del programma di fisica. Si chiama Gaetano Morelli. Assieme, negli anni della mia adolescenza, abbiamo letto e discusso testi fondamentali per la formazione, trovandoci alla sera a parlare, discutere, scommettere sui futuri premi Nobel (spesso anche indovinando con due o tre anni di anticipo il successo di autori misconosciuti, come Canetti o Böll). Eravamo molto uniti. Lui si iscrisse con me anche all'università, pur essendo più grande di vent'anni e già laureato in fisica. Fu lui a farmi scoprire, superando i soliti Picasso e Van Gogh, Soutine, il primo artista moderno che mi ha appassionato veramente.
Un momento importante per la mia crescita intellettuale e nello stesso tempo per le mie amicizie fu, nel 1970, l'incontro con Eugenio Montale a Ferrara. Tre persone si levarono tra il pubblico per fare domande. Uno di questi ero io, Sgarbi, gli altri erano un certo Felloni e Roberto Pazzi. Montale rispose, e poi disse che l'accoglienza che aveva avuto a Ferrara era stata inquietante e minacciosa: Sgarbi, Felloni e Pazzi. In quell'occasione divenni amico di Roberto Pazzi. Fu un'amicizia indissolubilmente legata a interessi letterari, artistici e poetici: anni di frequentazione basati su tensioni, poesie, dibattiti intellettuali e speranze nel futuro. Pazzi per noi del cenacolo Sgarbi-Gaetano Morelli, era un po' troppo estetizzante. Noi eravamo molto più duri, più critici, più moderni forse. Adesso Pazzi ha cambiato atteggiamento perché il successo l'ha avuto come narratore, ma all'epoca era in preda ai furori. Qualunque cosa facesse, a scuola, al cinema, in bagno, era sempre "il poeta". Suscitava in noi rispetto e ammirazione per la sua furia poetica, ma ci provocava non poche ironie.
Anche l'amicizia con Pazzi diventò epistolare: ci fu fra noi uno scambio di poesie. Io giocavo a mettere in evidenza il mio voler essere poeta oscuro, lui era invece desideroso di farsi conoscere con la poesia. L'amicizia proseguì durante il periodo in cui Pazzi fece il militare a Casarsa, perché lui teneva molto a mantenere i contatti con me, un ferrarese appena iscritto all'università che aveva gusto, talento e amore per la letteratura e la poesia. C'è sempre stata una specie di gara fra me e lui, per vedere chi avrebbe avuto più riconoscimenti. Dall'oscurità lui è uscito prima, ma limitatamente a un circuito di riviste letterarie. Io invece sono uscito dopo, ma sono andato molto avanti più in fretta. Infatti, poco dopo la laurea, nel 1976-77, ero diventato ispettore dei Beni culturali, ispettore della Sovrintendenza, e ciò mi aveva permesso di non fare l'insegnante, di uscire dalla melma della scuola (Pazzi, invece, a quel tempo insegnava). Questo mi consentì di abitare a Venezia e di frequentare un mondo diverso e più stimolante. Io cominciavo insomma a bazzicare questi ambienti (senza aver mai avuto gli snobismi né le ambizioni mondane che spesso mi attribuiscono i giornali) come luoghi in cui era giusto e naturale che io stessi.
Per Pazzi, rimasto in provincia, la mondanità era una meta a cui aspirare. Lui era monarchico, era (ed è) ammiratore del bel mondo. Io quel mondo lo guardavo con distacco. Ero distaccato ma coinvolto. Lui non era coinvolto ma era tutt'altro che distaccato. Il mio accesso ai giornali - il primo fu l'Europeo grazie all'incontro, verso il 1978-79, con Pasquale Chessa - mi avvantaggiò rispetto a lui. Pazzi ebbe l'intuizione di uscire dal ghetto della poesia scrivendo romanzi (il primo fu Cercando l'imperatore, edito da Marietti nell'85, ma il vero successo venne con La Principessa e il drago, pubblicato da Garzanti l'anno successivo) che trovarono consenso. Da quel momento in avanti Pazzi ebbe un riconoscimento notevole, e quindi recuperò il terreno che negli anni precedenti io avevo guadagnato. Questo ha determinato sfasature, difficoltà di rapporti sereni. Adesso comunque ci legano, a distanza, simpatia, affetto, memoria, amicizia.
Venezia fu fonte di numerose amicizie. Conobbi lì il collezionista romano Mario Lanfranchi, che mi insegnò diverse cose e fu per me un punto di riferimento importante, dopo mio zio e Francesco Arcangeli, mi insegnò, ad esempio, che i quadri si possono, oltre che studiare, possedere. Abitavo a Roma a Palazzo del Grillo, a fianco di Guttuso, in una casa sontuosa e bellissima. Roma per me divenne il suo palazzo, la sua biblioteca (che poi lui mise all'asta e io in gran parte acquistai), così come Venezia si identificava nel nome e nel volto di Maria Teresa.
In quegli anni passarono tutti di lì, da Valentino Bompiani a Umberto Eco, da Mario Soldati ad Alberto Moravia, da Valerio Zurlini a Carlo Ripa di Meana, da Wally Toscanini a Marina Lante della Rovere, poi molti stranieri, da Susan Sontag a John Russel, da Balthus a Marcel Brion. Divenni grande amico di Luigi Carluccio, con cui organizzammo la grande mostra di Balthus. Per la prima volta feci diventare sede di esposizioni la Scuola di San Giovanni Evangelista. Cominciai a scrivere di artisti eccentrici rispetto alle avanguardie dominanti, come Domenico Gnoli, per il quale pubblicai una monografia con Franco Maria Ricci. Fu con Ricci, incontrato nell'81, che iniziai l'avventura, pieno di entusiasmo, della rivista F.M.R.
In quel periodo conobbi Luigi Serafini, Gustavo Foppiani, Gaetano Pompa, Fabrizio Clerici, poi Carlo Guarienti, insomma pittori surrealisti e neometafisici a cui ho prestato molto interesse. Divenni soprattutto amico del regista Valerio Zurlini. Lui vide in me l'interprete ideale di un film che stava preparando (ma non si fece mai), La Zattera della Medusa. Io avrei dovuto essere un medico equamente e drammaticamente diviso fra un'amante, che era Charlotte Rampling, e sua moglie, che era Stefania Sandrelli. Fu un'amicizia che ebbe risvolti divertenti. Io andavo sempre all'Harry's bar, dove, per simpatia e affinità di idee con Arrigo Cipriani, avevo ottenuto degli sconti del cinquanta per cento, che rendevano più agevole la mia frequentazione del ristorante. Zurlini, invece, aveva uno sconto molto inferiore. Quando lo seppe incominciò a scrivere a Cipriani, lamentandosi di non avere lo stesso trattamento. Quando Zurlini morì, l'Europeo pubblicò questo epistolario divertente e vagamente hemingwayano tra il regista e Cipriani, che negava lo sconto soltanto per continuare il gioco epistolare. A quel tempo Zurlini veniva anche a Ro. Ci veniva anche Giorgio Bassani, che giocava a tennis con mio padre. Alla sera discutevamo con Valerio i suoi progetti per film realizzati da altri, come Il giardino dei Finzi Contini, che fece poi De Sica, e Gli occhiali d'oro, che fece Giuliano Montaldo.
(CONTINUA. 7)
Dagospia.com 2 Maggio 2002