MORO PER SEMPRE/2 - NELLE LETTERE LA TRACCIA DEL SUO DESTINO: "VI È FORSE, NEL TENERE DURO CONTRO DI ME, UN'INDICAZIONE AMERICANA O TEDESCA?" - PRIORITÀ USA: TENERE LONTANO IL PCI DAL GOVERNO.
Gerardo Pelosi per "Il Sole 24 Ore"
Non ci poteva proprio credere Aldo Moro che la "novità" della linea della fermezza portasse in calce solo la firma italiana. Meglio, dei suoi amici di partito. Ci doveva essere per forza qualche "suggeritore" straniero. Nel "memoriale" diffuso il 10 aprile '78 insieme al comunicato n.5, ad un certo punto, Moro se la prende con Taviani perché aveva smentito di avere mai partecipato a riunioni Dc in cui si sarebbe discusso di come disciplinare i rapimenti. Ma coloro che, come Taviani, sono per la fermezza, scrive Moro «sono convinti che sia questo il solo modo per difendere l'autorità ed il potere dello Stato in momenti come questi? Fanno riferimento ad esempi stranieri? O hanno avuto suggerimenti? » E poi, alla fine, un altro interrogativo: «Vi è forse, nel tenere duro contro di me, un'indicazione americana o tedesca?».
Nei mesi precedenti, Moro aveva avuto tre incontri a Villa Taverna con Richard Gardner, il nuovo ambasciatore americano che si era insediato nel marzo del ' 77 dopo la vittoria di Carter su Ford. La posizione di Gardner era chiara: gli Stati Uniti preferivano non avere il Pci nel Governo di un Paese alleato ma cominciavano anche a fare qualche distinzione. Gardner fu il primo ambasciatore americano a concedere un visto di ingresso negli Stati Uniti al "comunista" Giorgio Napolitano, responsabile Esteri del partito.
«Avevamo capito - dice Gardner - che da un lato c'era chi aveva rapporti molto stretti con Mosca come Cossutta, Ingrao, Pajetta e poi c'erano personalità più indipendenti come Napolitano con le quali il dialogo era utile e fruttuoso».
La vicenda del rapimento colse gli Stati Uniti impreparati. Gli scandali della Cia nell'era Ford avevano ridotto i margini di manovra dell'intelligence. «Noi - aggiunge Gardner - offrimmo tutto il sostegno logistico possibile, macchine blindate apparecchiature elettroniche ma fu chiaro subito che era il Governo italiano che doveva decidere come muoversi». Eppure Moro, nel covo di via Montalcini, sente sul collo il fiato americano e tedesco.
Quattro anni prima aveva raccontato alla moglie il tono tutt'altro che cordiale dell'incontro del settembre del '74 con l'allora segretario di Stato americano Henry Kissinger alla Blair House dove avrebbe ricevuto dal capo della diplomazia Usa forti pressioni per cambiare linea politica ed evitare accordi con i comunisti. Subito dopo Moro ebbe un malore e il medico Mario Giacovazzo preferì farlo rientrare in Italia annullando il resto degli appuntamenti.
«Le cose a quanto so non andarono così - spiega Cossiga in una lunga intervista concessa a Radio 24 - , Kissinger è un ebreo tedesco e lui stesso mi disse che tra i politici italiani capiva soltanto me perché non parlavo in cifra; non capiva l'avverbio "peraltro" di cui si fa largo uso nel linguaggio politico italiano». Una cosa però è vera e la rivela lo stesso Cossiga. Riguarda «l'esclusione di Moro a Portorico durante una riunione ristretta che si tenne tra i sette Paesi più industrializzati per volontà non americana ma del cancelliere tedesco Schmidt il quale temeva che le conversazioni riservate sarebbero finite a Botteghe Oscure».
Comunque sia il rapimento, aggiunge Cossiga, avviene sotto la presidenza del democratico Carter e gli americani, secondo l'ex presidente della Repubblica, apprezzavano Moro che aveva tenuto a battesimo la struttura Gladio e che in un famoso intervento in Parlamento aveva difeso la guerra americana in Vietnam. Quanto a qualche suggeritore proveniente da Mosca Cossiga dice di «non credere alla favola dell'ostilità sovietica all'ingresso del Pci nell'area di Governo anche perché nel Pci sia pure di Berlinguer si poteva essere asovietici ma non certo antisovietici».
Anche Andreotti ridimensiona l'incontro "burrascoso" con Kissinger. «Ne parlai con la sua interprete che ha lavorato poi con me per molti anni - afferma il senatore a vita - e non è assolutamente vero che i toni usati da Kissinger fossero polemici o critici, loro assimilavano i socialisti ai comunisti ma poi venne fuori che avevano stabilito già da tempo rapporti diretti con i socialisti». Emilio Colombo era presidente del Parlamento europeo da un anno quando il 16 marzo di trenta anni fa stava andando all'aeroporto per prendere un volo per Strasburgo. «Come presidente del Consiglio andai in visita negli Stati Uniti nel '71 accompagnato dal mio ministro degli Esteri Moro, incontrammo anche Kissinger che un po' non capiva e un po' si spazientiva a sentire Moro quel suo parlare ragionando a voce alta aveva come l'impressione che gli si volesse nascondere qualcosa».
Dagospia 17 Marzo 2008
Non ci poteva proprio credere Aldo Moro che la "novità" della linea della fermezza portasse in calce solo la firma italiana. Meglio, dei suoi amici di partito. Ci doveva essere per forza qualche "suggeritore" straniero. Nel "memoriale" diffuso il 10 aprile '78 insieme al comunicato n.5, ad un certo punto, Moro se la prende con Taviani perché aveva smentito di avere mai partecipato a riunioni Dc in cui si sarebbe discusso di come disciplinare i rapimenti. Ma coloro che, come Taviani, sono per la fermezza, scrive Moro «sono convinti che sia questo il solo modo per difendere l'autorità ed il potere dello Stato in momenti come questi? Fanno riferimento ad esempi stranieri? O hanno avuto suggerimenti? » E poi, alla fine, un altro interrogativo: «Vi è forse, nel tenere duro contro di me, un'indicazione americana o tedesca?».
Nei mesi precedenti, Moro aveva avuto tre incontri a Villa Taverna con Richard Gardner, il nuovo ambasciatore americano che si era insediato nel marzo del ' 77 dopo la vittoria di Carter su Ford. La posizione di Gardner era chiara: gli Stati Uniti preferivano non avere il Pci nel Governo di un Paese alleato ma cominciavano anche a fare qualche distinzione. Gardner fu il primo ambasciatore americano a concedere un visto di ingresso negli Stati Uniti al "comunista" Giorgio Napolitano, responsabile Esteri del partito.
«Avevamo capito - dice Gardner - che da un lato c'era chi aveva rapporti molto stretti con Mosca come Cossutta, Ingrao, Pajetta e poi c'erano personalità più indipendenti come Napolitano con le quali il dialogo era utile e fruttuoso».
La vicenda del rapimento colse gli Stati Uniti impreparati. Gli scandali della Cia nell'era Ford avevano ridotto i margini di manovra dell'intelligence. «Noi - aggiunge Gardner - offrimmo tutto il sostegno logistico possibile, macchine blindate apparecchiature elettroniche ma fu chiaro subito che era il Governo italiano che doveva decidere come muoversi». Eppure Moro, nel covo di via Montalcini, sente sul collo il fiato americano e tedesco.
Quattro anni prima aveva raccontato alla moglie il tono tutt'altro che cordiale dell'incontro del settembre del '74 con l'allora segretario di Stato americano Henry Kissinger alla Blair House dove avrebbe ricevuto dal capo della diplomazia Usa forti pressioni per cambiare linea politica ed evitare accordi con i comunisti. Subito dopo Moro ebbe un malore e il medico Mario Giacovazzo preferì farlo rientrare in Italia annullando il resto degli appuntamenti.
«Le cose a quanto so non andarono così - spiega Cossiga in una lunga intervista concessa a Radio 24 - , Kissinger è un ebreo tedesco e lui stesso mi disse che tra i politici italiani capiva soltanto me perché non parlavo in cifra; non capiva l'avverbio "peraltro" di cui si fa largo uso nel linguaggio politico italiano». Una cosa però è vera e la rivela lo stesso Cossiga. Riguarda «l'esclusione di Moro a Portorico durante una riunione ristretta che si tenne tra i sette Paesi più industrializzati per volontà non americana ma del cancelliere tedesco Schmidt il quale temeva che le conversazioni riservate sarebbero finite a Botteghe Oscure».
Comunque sia il rapimento, aggiunge Cossiga, avviene sotto la presidenza del democratico Carter e gli americani, secondo l'ex presidente della Repubblica, apprezzavano Moro che aveva tenuto a battesimo la struttura Gladio e che in un famoso intervento in Parlamento aveva difeso la guerra americana in Vietnam. Quanto a qualche suggeritore proveniente da Mosca Cossiga dice di «non credere alla favola dell'ostilità sovietica all'ingresso del Pci nell'area di Governo anche perché nel Pci sia pure di Berlinguer si poteva essere asovietici ma non certo antisovietici».
Anche Andreotti ridimensiona l'incontro "burrascoso" con Kissinger. «Ne parlai con la sua interprete che ha lavorato poi con me per molti anni - afferma il senatore a vita - e non è assolutamente vero che i toni usati da Kissinger fossero polemici o critici, loro assimilavano i socialisti ai comunisti ma poi venne fuori che avevano stabilito già da tempo rapporti diretti con i socialisti». Emilio Colombo era presidente del Parlamento europeo da un anno quando il 16 marzo di trenta anni fa stava andando all'aeroporto per prendere un volo per Strasburgo. «Come presidente del Consiglio andai in visita negli Stati Uniti nel '71 accompagnato dal mio ministro degli Esteri Moro, incontrammo anche Kissinger che un po' non capiva e un po' si spazientiva a sentire Moro quel suo parlare ragionando a voce alta aveva come l'impressione che gli si volesse nascondere qualcosa».
Dagospia 17 Marzo 2008