OTTANTA VOGLIA DI ZEFFIRELLI - IL COMPLEANNO DELL'INDOMABILE BISBETICA, OSTILE A QUELLA MELMA INFETTA CHE FA TUTTO UN BUBU' DI POLITICALLY CORRECT.
Pietrangelo Buttafuoco per Il Foglio
Dolce bisbetica come lui non c'è nessuno. E della categoria bisbetica, lui che oggi compie ottant'anni, lui che è Franco Zeffirelli, ossia il potente monello fiorentino che seppe "sputare in faccia alla Juve", incarna la variante propriamente detta indomabile. E' infatti l'indomabile bisbetica della scena italiana lui, tanto è vero che alla Scala dove pure ha consegnato trionfi, non ci pensano minimamente di fargli gli auguri. Anzi, "nessuno palpita, stanno zitti e buoni". Bellissimo uomo, è quel tale dall'occhio apollineo che a volte appoggia il mento al pugno per l'incombente minaccia dell'estasi fotogenica. E' la bisbetica indomata per eccellenza lui: "Ho fatto la mia strada a dispetto di tutti, porto a testa alta le mie opinioni, non ho nessuna esitazione a confortare pecorelle smarrite, quando mi chiudono dentro sbarrando la porta sono pronto a scappare dalla finestra. Sono qui".
A fare un bilancio di lui, lui si presta sapendo bene di "essere uno degli uomini più famosi. Al Columbus Day, a New York, ho gustato il trionfo". Lusingato dalla festa che gli piove oggi ("la mia casa è così congestionata di gente vicina a me da non esserci spazio per chi mi vuole male"), Zeffirelli che al popolo piace perché fece un "Gesù" semplice e limpido di luce, accoglie il divertimento degli auguri ostentando come medaglie gli schizzi di "lebbra". "Sono stato uno dei primi a indicare quale beffa fosse il castello marxista, è caduto il Muro a Berlino ma abbiamo trascorso il rischio di vedercelo trionfare dentro casa. Mi sono schierato con Silvio Berlusconi perché l'abbiamo sentita la necessità di darci una regolata generale. C'era poco da scherzare. Io non soffro certo di manie di persecuzione ma qui, in Italia, nessuno palpita, tutti stanno zitti e buoni. Se la Valeria Marini cambia reggiseno ne parlano tutti, fanno i paginoni sui giornali, io sono dato per scontato. Ai liberali sta bene che ognuno esista e basta, quasi fosse doveroso stare dalla loro parte, agli altri invece, aggrada applicare il silenziatore". Un inevitabile silenzio contro uno schierarsi dato per scontato. "I liberali danno tutto per scontato ma se possono coricarsi con Nanni Moretti vanno in sollucchero, ancora meglio se possono farlo con quel citrullone di Roberto Benigni. Ormai è più facile parlar male della Madonna che di Benigni, ma io resto nella mia strada".
Regista, Zeffirelli che deve il suo cognome a una distrazione dell'ufficiale dell'anagrafe (avrebbe dovuto chiamarsi Zeffiretti, in omaggio a Mozart) è padrone di prosa, lirica e pellicola. Creatore giusto a proposito di una tra le più straordinarie versioni cinematografiche della "Bisbetica domata" di William Shakespeare ("Avevo con me Richard Burton e Liz Taylor, cosa me ne poteva importare degli intrallazzi d'Italia"), Zeffirelli che scatena più di una smorfia tra le catacombe dei cineasti da terrazza, è stato anche autore di se stesso con un'autobiografia diffusa in ogni angolo del pianeta. "Faccio ben sfoggio dei miei meriti", spiega. E' un libro scritto in inglese - Zeffirelli è stato proclamato nel 1997 dottore in Arte e Lettere a Canterbury, "nel luogo dove è nato il mondo democratico" precisa - ed è un libro moltiplicato per diciotto traduzioni tra le quali arabo e giapponese eccetto che in quella italiana, patriotticamente necessaria.
Per assenza di interesse e mercato, si potrebbe pensare; e invece no, ancora una volta Zeffirelli che non ha un minimo cataloghino nella lingua di Dante (quando "ai fratelli Taviani gliene avranno fatti una dozzina", ci dice), nel non avere una brochure, neppure un Castoro monografico con cui far bella figura a Campo de' Fiori, trova conferma su quanto sia definitivamente estraneo al cortile nazionale. Più che estraneo, è nemico: "Ostile a quella melma infetta che fa tutto un bubù di politically correct".
Cresciuto nel pantheon della regia, della costumistica e della scenografia e cioè con Pierluigi Pizzi, Umberto Tirelli e Piero Tosi - partecipi tutti del rito spoletino officiato da Giancarlo Menotti, praticamente una messa cantata degna della contessa Serpieri con Romolo Valli, Giorgio De Lullo - allevato dunque dalla finezza drappeggiata di Luchino Visconti, Zeffirelli è risultato col senno del tempo trascorso un monumento di solitudine. Con quello stesso gruppo, "tutto un bubù" anche quello, con quei signori elegantissimi che volevano vestire i sogni e impiegavano una buon mezz'ora per capire come fare cadere un guanto, anche con loro Zeffirelli non fece clan negandosi ai pedaggi ideologici: "Sarà stato nel '53, si respirava un'aria di accerchiamento. Antonello Trombadori me lo diceva fin troppo chiaramente: 'Ma chi te lo fa fare, passa con noi. Ognuno la pensa come vuole, puoi pensarla come vuoi, ma passa con noi'. Diceva: 'Ma falla finita e non rompere più i coglioni, passa con noi'. Io non passai, ma Visconti - che non era certo un comunista, anzi, un proustiano, un uomo radicato nel cristianesimo, affascinato dal mondo germanico - passò col Pci. E con lui tutti gli altri intorno: si ritrovarono avvolti nel cachemire a vegliare la salma di Palmiro Togliatti". Bastava passare. "A me bastò starmene buono e zitto per un paio di anni, non feci dichiarazioni, non mi mostrai a linguaccia aperta, ne ricavai recensioni lusinghiere e successo di critica. Era l'epoca delle mobilitazioni. In un'Italia che aveva avuto Aldo Palazzeschi e il suo 'Codice di Perelà' dovevamo assistere alla triste processione di Alberto Moravia e Elsa Morante in marcia per l'Angola".
Recensioni lusinghiere e successo di critica. "Me ne vergognai subito: perché faccio un intrallazzo in Italia quando c'è il mondo fuori ad aspettare?". A lui, e solo a lui, si deve il ritorno trionfale di Maria Callas al Covent Garden di Londra. Riuscì ad addomesticare gli astratti furori della diva e tuttora, lui che detiene il segreto del melodramma - Zeffirelli è infatti il melò, è quel liquore internazionale che suggestiona i gusti dell'Occidente sentimentale - è l'unico regista in grado di alzare il telefono e chiamare i produttori americani e farsi servire a modo.
E' una linguaccia aperta però, indispone la buona educazione di quel bigottismo proprio della sinisteritas. Nel frattempo che le star hollywoodiane e tutti i suoi colleghi applicati alla muse inseguono i languori sentimentali del pacifismo, lui taglia corto e passa avanti: "Non me ne frega un cazzo. Detesto il pacifismo idiota. Li conosco bene questi signori, si abbeverano alle fonti di saggezza della sinistra mondiale ma sono sempre pronti a correre dietro a Fidel Castro". Sarà difficile farne un senatore a vita perché la via del riconoscimento gli è stata negata in tempi duri, figurarsi adesso che i tempi gli sono amicissimi e perciò durissimi. Con lui che produce intorno a sé tante smorfie di disapprovazione ideologica, si può ben sottoscrivere ciò che dice Nino Strano: "E' un catalizzatore di bellezze e di amicizia".
Scompare e riappare come fosse un ladro perso tra le burrasche del Caravaggio, è incandescente, difficile, pittorico nell'ozio che riesce a costruire negli infinitesimali anfratti dei dettagli, nelle sfumature che accompagnano il suo destino, come nelle sue dimore, bellissime, quella di Roma e la Villa Trecase di Positano, un groviglio interminabile di scale per tre diverse costruzioni saldate in una dove a lui piace avere ospiti senza neppure vederli, lasciati nella serenità dell'accoglienza discreta.
A differenza di tanti ipocriti, tra tante contesse Serpieri, Zeffirelli non hai mai fatto alcun mistero della sua omosessualità. Trent'anni fa, trovandosi a discutere in una riunione in un primario ente lirico, il Massimo di Palermo, dal capo degli allestimenti scenici si sentì dire più o meno questo: "Bisogna fare così altrimenti ce lo prendiamo tutti in quel posto". Lo fissò e aggiunse: "Anche se ciò può fare piacere a qualcuno". Zeffirelli fu implacabile: "Si ricordi, egregio signore, che io in culo lo prendo quando voglio io e da chi voglio io, siffatte circostanze le lascio a lei". Ma altre circostanze hanno costruito il muro di ostracismo per questo artista che ha trovato opera e invenzione nel mondo piuttosto che in Italia.
La Scala tace, non tacerà certo il Quirinale davanti a questi ottant'anni, ma la Scala tace. A Paolo Isotta abbiamo chiesto di fare almeno lui gli auguri a Franco Zeffirelli: "Innanzitutto il personaggio ispira grandissima simpatia e non riesci ad avercela con lui anche quando ti rompe i coglioni. Dal punto di vista tecnico sia come regista di teatro lirico, sia come regista di cinema, possiede e domina gli strumenti come pochi altri al mondo; sul suo gusto a volte si può essere d'accordo, a volte lo si può giudicare ridondante. Io che non lo conosco direttamente provo per la sua figura rispetto e anche affetto e sono convinto che gli ottant'anni, che mi commuovono portati così, siano per essere forieri di qualche bella novità artistica da parte del caro vecchio Franchino".
Adesso che però rischiamo noi di fare una torta fin troppo gradita al festeggiato muoviamo un'obiezione: è pur sempre un irriducibile antifascista, è stato partigiano, pur "alla larga dai comunisti" come dice lui stesso, ma partigiano. Isotta aggiunge: "Meno male che esistono ancora artisti, dal punto di vista politico, deliziosamente incoerenti, o persino capricciosi: Hitler, che per l'arte nutriva un profondissimo rispetto con la sua natura da chioccia si covò Leni Riefensthal ma, desiderando un'intera generazione di artisti intimamente fedeli al regime provocò solo disastri. Il pragmatismo latino del Duce gli faceva considerare gli artisti come delle deliziose cocotte: li vezzeggiò e basta sopportandone tutte le conseguenti isterie".
Preferiamo l'artista politicamente ondivago a quello impegnato. Isotta annuisce: "E' come scegliere tra la cocotte e la kapò, che mi sembra il termine idoneo per qualificare il peggiore attore e il peggiore regista mai conosciuto nella mia vita: Moretti Giovanni detto Nanni. Trovo che se si facesse una bella crestina militare i girotondi li farebbe correre meglio: con un gatto a nove code dalle corregge ben lunghe li farebbe diventare da giostre addirittura trottole". Preferiamo senz'altro l'artista politicamente capriccioso a quello impegnato: auguri senatore Zeffirelli.
Dagospia.com 12 Febbraio 2003
Dolce bisbetica come lui non c'è nessuno. E della categoria bisbetica, lui che oggi compie ottant'anni, lui che è Franco Zeffirelli, ossia il potente monello fiorentino che seppe "sputare in faccia alla Juve", incarna la variante propriamente detta indomabile. E' infatti l'indomabile bisbetica della scena italiana lui, tanto è vero che alla Scala dove pure ha consegnato trionfi, non ci pensano minimamente di fargli gli auguri. Anzi, "nessuno palpita, stanno zitti e buoni". Bellissimo uomo, è quel tale dall'occhio apollineo che a volte appoggia il mento al pugno per l'incombente minaccia dell'estasi fotogenica. E' la bisbetica indomata per eccellenza lui: "Ho fatto la mia strada a dispetto di tutti, porto a testa alta le mie opinioni, non ho nessuna esitazione a confortare pecorelle smarrite, quando mi chiudono dentro sbarrando la porta sono pronto a scappare dalla finestra. Sono qui".
A fare un bilancio di lui, lui si presta sapendo bene di "essere uno degli uomini più famosi. Al Columbus Day, a New York, ho gustato il trionfo". Lusingato dalla festa che gli piove oggi ("la mia casa è così congestionata di gente vicina a me da non esserci spazio per chi mi vuole male"), Zeffirelli che al popolo piace perché fece un "Gesù" semplice e limpido di luce, accoglie il divertimento degli auguri ostentando come medaglie gli schizzi di "lebbra". "Sono stato uno dei primi a indicare quale beffa fosse il castello marxista, è caduto il Muro a Berlino ma abbiamo trascorso il rischio di vedercelo trionfare dentro casa. Mi sono schierato con Silvio Berlusconi perché l'abbiamo sentita la necessità di darci una regolata generale. C'era poco da scherzare. Io non soffro certo di manie di persecuzione ma qui, in Italia, nessuno palpita, tutti stanno zitti e buoni. Se la Valeria Marini cambia reggiseno ne parlano tutti, fanno i paginoni sui giornali, io sono dato per scontato. Ai liberali sta bene che ognuno esista e basta, quasi fosse doveroso stare dalla loro parte, agli altri invece, aggrada applicare il silenziatore". Un inevitabile silenzio contro uno schierarsi dato per scontato. "I liberali danno tutto per scontato ma se possono coricarsi con Nanni Moretti vanno in sollucchero, ancora meglio se possono farlo con quel citrullone di Roberto Benigni. Ormai è più facile parlar male della Madonna che di Benigni, ma io resto nella mia strada".
Regista, Zeffirelli che deve il suo cognome a una distrazione dell'ufficiale dell'anagrafe (avrebbe dovuto chiamarsi Zeffiretti, in omaggio a Mozart) è padrone di prosa, lirica e pellicola. Creatore giusto a proposito di una tra le più straordinarie versioni cinematografiche della "Bisbetica domata" di William Shakespeare ("Avevo con me Richard Burton e Liz Taylor, cosa me ne poteva importare degli intrallazzi d'Italia"), Zeffirelli che scatena più di una smorfia tra le catacombe dei cineasti da terrazza, è stato anche autore di se stesso con un'autobiografia diffusa in ogni angolo del pianeta. "Faccio ben sfoggio dei miei meriti", spiega. E' un libro scritto in inglese - Zeffirelli è stato proclamato nel 1997 dottore in Arte e Lettere a Canterbury, "nel luogo dove è nato il mondo democratico" precisa - ed è un libro moltiplicato per diciotto traduzioni tra le quali arabo e giapponese eccetto che in quella italiana, patriotticamente necessaria.
Per assenza di interesse e mercato, si potrebbe pensare; e invece no, ancora una volta Zeffirelli che non ha un minimo cataloghino nella lingua di Dante (quando "ai fratelli Taviani gliene avranno fatti una dozzina", ci dice), nel non avere una brochure, neppure un Castoro monografico con cui far bella figura a Campo de' Fiori, trova conferma su quanto sia definitivamente estraneo al cortile nazionale. Più che estraneo, è nemico: "Ostile a quella melma infetta che fa tutto un bubù di politically correct".
Cresciuto nel pantheon della regia, della costumistica e della scenografia e cioè con Pierluigi Pizzi, Umberto Tirelli e Piero Tosi - partecipi tutti del rito spoletino officiato da Giancarlo Menotti, praticamente una messa cantata degna della contessa Serpieri con Romolo Valli, Giorgio De Lullo - allevato dunque dalla finezza drappeggiata di Luchino Visconti, Zeffirelli è risultato col senno del tempo trascorso un monumento di solitudine. Con quello stesso gruppo, "tutto un bubù" anche quello, con quei signori elegantissimi che volevano vestire i sogni e impiegavano una buon mezz'ora per capire come fare cadere un guanto, anche con loro Zeffirelli non fece clan negandosi ai pedaggi ideologici: "Sarà stato nel '53, si respirava un'aria di accerchiamento. Antonello Trombadori me lo diceva fin troppo chiaramente: 'Ma chi te lo fa fare, passa con noi. Ognuno la pensa come vuole, puoi pensarla come vuoi, ma passa con noi'. Diceva: 'Ma falla finita e non rompere più i coglioni, passa con noi'. Io non passai, ma Visconti - che non era certo un comunista, anzi, un proustiano, un uomo radicato nel cristianesimo, affascinato dal mondo germanico - passò col Pci. E con lui tutti gli altri intorno: si ritrovarono avvolti nel cachemire a vegliare la salma di Palmiro Togliatti". Bastava passare. "A me bastò starmene buono e zitto per un paio di anni, non feci dichiarazioni, non mi mostrai a linguaccia aperta, ne ricavai recensioni lusinghiere e successo di critica. Era l'epoca delle mobilitazioni. In un'Italia che aveva avuto Aldo Palazzeschi e il suo 'Codice di Perelà' dovevamo assistere alla triste processione di Alberto Moravia e Elsa Morante in marcia per l'Angola".
Recensioni lusinghiere e successo di critica. "Me ne vergognai subito: perché faccio un intrallazzo in Italia quando c'è il mondo fuori ad aspettare?". A lui, e solo a lui, si deve il ritorno trionfale di Maria Callas al Covent Garden di Londra. Riuscì ad addomesticare gli astratti furori della diva e tuttora, lui che detiene il segreto del melodramma - Zeffirelli è infatti il melò, è quel liquore internazionale che suggestiona i gusti dell'Occidente sentimentale - è l'unico regista in grado di alzare il telefono e chiamare i produttori americani e farsi servire a modo.
E' una linguaccia aperta però, indispone la buona educazione di quel bigottismo proprio della sinisteritas. Nel frattempo che le star hollywoodiane e tutti i suoi colleghi applicati alla muse inseguono i languori sentimentali del pacifismo, lui taglia corto e passa avanti: "Non me ne frega un cazzo. Detesto il pacifismo idiota. Li conosco bene questi signori, si abbeverano alle fonti di saggezza della sinistra mondiale ma sono sempre pronti a correre dietro a Fidel Castro". Sarà difficile farne un senatore a vita perché la via del riconoscimento gli è stata negata in tempi duri, figurarsi adesso che i tempi gli sono amicissimi e perciò durissimi. Con lui che produce intorno a sé tante smorfie di disapprovazione ideologica, si può ben sottoscrivere ciò che dice Nino Strano: "E' un catalizzatore di bellezze e di amicizia".
Scompare e riappare come fosse un ladro perso tra le burrasche del Caravaggio, è incandescente, difficile, pittorico nell'ozio che riesce a costruire negli infinitesimali anfratti dei dettagli, nelle sfumature che accompagnano il suo destino, come nelle sue dimore, bellissime, quella di Roma e la Villa Trecase di Positano, un groviglio interminabile di scale per tre diverse costruzioni saldate in una dove a lui piace avere ospiti senza neppure vederli, lasciati nella serenità dell'accoglienza discreta.
A differenza di tanti ipocriti, tra tante contesse Serpieri, Zeffirelli non hai mai fatto alcun mistero della sua omosessualità. Trent'anni fa, trovandosi a discutere in una riunione in un primario ente lirico, il Massimo di Palermo, dal capo degli allestimenti scenici si sentì dire più o meno questo: "Bisogna fare così altrimenti ce lo prendiamo tutti in quel posto". Lo fissò e aggiunse: "Anche se ciò può fare piacere a qualcuno". Zeffirelli fu implacabile: "Si ricordi, egregio signore, che io in culo lo prendo quando voglio io e da chi voglio io, siffatte circostanze le lascio a lei". Ma altre circostanze hanno costruito il muro di ostracismo per questo artista che ha trovato opera e invenzione nel mondo piuttosto che in Italia.
La Scala tace, non tacerà certo il Quirinale davanti a questi ottant'anni, ma la Scala tace. A Paolo Isotta abbiamo chiesto di fare almeno lui gli auguri a Franco Zeffirelli: "Innanzitutto il personaggio ispira grandissima simpatia e non riesci ad avercela con lui anche quando ti rompe i coglioni. Dal punto di vista tecnico sia come regista di teatro lirico, sia come regista di cinema, possiede e domina gli strumenti come pochi altri al mondo; sul suo gusto a volte si può essere d'accordo, a volte lo si può giudicare ridondante. Io che non lo conosco direttamente provo per la sua figura rispetto e anche affetto e sono convinto che gli ottant'anni, che mi commuovono portati così, siano per essere forieri di qualche bella novità artistica da parte del caro vecchio Franchino".
Adesso che però rischiamo noi di fare una torta fin troppo gradita al festeggiato muoviamo un'obiezione: è pur sempre un irriducibile antifascista, è stato partigiano, pur "alla larga dai comunisti" come dice lui stesso, ma partigiano. Isotta aggiunge: "Meno male che esistono ancora artisti, dal punto di vista politico, deliziosamente incoerenti, o persino capricciosi: Hitler, che per l'arte nutriva un profondissimo rispetto con la sua natura da chioccia si covò Leni Riefensthal ma, desiderando un'intera generazione di artisti intimamente fedeli al regime provocò solo disastri. Il pragmatismo latino del Duce gli faceva considerare gli artisti come delle deliziose cocotte: li vezzeggiò e basta sopportandone tutte le conseguenti isterie".
Preferiamo l'artista politicamente ondivago a quello impegnato. Isotta annuisce: "E' come scegliere tra la cocotte e la kapò, che mi sembra il termine idoneo per qualificare il peggiore attore e il peggiore regista mai conosciuto nella mia vita: Moretti Giovanni detto Nanni. Trovo che se si facesse una bella crestina militare i girotondi li farebbe correre meglio: con un gatto a nove code dalle corregge ben lunghe li farebbe diventare da giostre addirittura trottole". Preferiamo senz'altro l'artista politicamente capriccioso a quello impegnato: auguri senatore Zeffirelli.
Dagospia.com 12 Febbraio 2003