IL FESTIVAL DELLA RETORICA - LA PAROLA ‘BELLEZZA’ TANTO EVOCATA A SANREMO È ORMAI UN GUSCIO VUOTO, LA COPERTA DI LINUS DEL CETO MEDIO RIFLESSIVO - GRASSO: ‘SE NE SENTO ANCORA PARLARE, METTO MANO ALLA PISTOLA’

1 - BELLEZZA ITALIANA E MEDIOCRITÀ DIFFUSA
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

Sanremo Settebellezze. Se all'Ariston sento ancora parlare di bellezza metto mano alla pistola. Ah, i danni involontari, il fuoco amico de La grande bellezza (che poi, a ben vedere, il titolo giusto sarebbe stato Il grande autocompiacimento ), l'idea che basti la parola, come il famoso lassativo.

A un programma televisivo si chiede di essere bello (a cominciare dalla scenografia), non di parlare di bellezza perché ormai il vocabolo è logorato, a furia di usarlo a sproposito è diventato una vuota carcassa, non significa più nulla. In questi anni, la Bellezza è passata dall'estetica all'estetismo, dall'anima al corpo (specie nei concorsi di bellezza), dalla passione alla compassione («bella dentro»).

L'unica cosa che sappiamo con certezza sulla bellezza è che non esiste una ricetta per produrla o una scritta per indicarla. La Bellezza con cui noi siamo costretti ogni giorno a confrontarci è quella creata dai media, altrimenti detta «moda». Oggi è bello questo, domani quello. Avevano già capito tutto le streghe nel primo atto del Macbeth quando gridano: «Il bello è brutto e il brutto è bello...».

Noi autori di Sanremo, invece, siamo Buoni e Belli, siamo noi il modello cui dovreste aspirare; per questo i monologhi sanremesi sulla bellezza hanno un incedere imbarazzante, come se la Bellezza fosse un valore assoluto e atemporale.
Forse dovremmo fare un piccolo esame di coscienza: ma esiste ancora la tanto decantata bellezza italiana?

Non dovremmo per caso cominciare a fare i conti con una mediocrità diffusa, che ci vede tutti coinvolti in un costante degrado del gusto, nessuno escluso?
Come sosteneva Simone Weil, c'è tanta bellezza persino nella politica, nei gesti quotidiani, nei paesaggi, nell'architettura, ovviamente nell'arte e nella conservazione dell'arte. Basta saperla cogliere perché, è noto, la bellezza non sale su un palco ma è negli occhi di chi guarda.


2 - PER FAVORE, RISPARMIATECI ALMENO LA RETORICA DELLA VOSTRA BELLEZZA
Daniela Ranieri per il "Fatto quotidiano"

L'attimo è stato agghiacciante. Stava partendo un monologo endovena sulla bellezza come pane quotidiano sulla mensa dei poveri-sempre-più-poveri, e sono arrivati i cattivi. Peccato che i due veri-finti aspiranti suicidi non l'abbiano interrotto per i motivi giusti, gridando "no, la bellezza no!", ma per consegnare una lettera in linea con l'assolo dolente, subito trasformata in monito edificante.

A parte che la bellezza come perfezione lenitiva è tramontata nel secolo delle guerre e degli stermini, e che dire che il bello è bello e il brutto è brutto è pura tautologia etica, la retorica della bellezza in mondovisione durante il primo show della televisione italiana no, dài.

Non dubitiamo della buona fede di Fazio e degli autori di Sanremo, ma l'idea è da albori della televisione, da alfabetizzazione delle lande selvagge del Musichiere incantate dalla Gubbio di Don Matteo. L'invito rivolto alla gente ad amare la bellezza non fa che trasformare il suo culto, libero e non addomesticabile, in un atto di civismo.

Monumentalizzarla è compito delle pro-loco, delle kermesse coi vol-au-vent al salmone finanziate dalla provincia, delle piccole realtà a caccia di fondi, della propaganda di Stato.
La bellezza (già crea imbarazzo nominarla come monolite di rassicurante placidità, ma aiutiamoci) non può essere uno strumento igienico; è una forza convulsa, tragica, alveo di Pan e Dioniso, in cui vibra il conflitto e crepita la mancata redenzione.

Sotto la mannaia di una sinistra moderata che ha addomesticato tutti i suoi valori fondativi, da motrice anarchica la bellezza si è trasformata in decenza, buon gusto, decoro sociale. Ma questo ergere la cultura e le buone maniere a coscienza nazionale fa danni gravi, e spacca ulteriormente quello che vorrebbe tenere armonicamente unito.

Tutelare il patrimonio artistico è compito dei ministeri, non della "cultura", che non deve difendere niente tantomeno se stessa. Si fa con i soldi e con le competenze, non con i moniti e le esortazioni a farseli piacere.

Accodarsi a La grande bellezza è furbo, ma anche quella la si spera ironica e antifrastica, altrimenti viene da pensare che lo sdegno per la trascuratezza della meraviglia di Roma (che come sappiamo va da piazza Navona al Gianicolo) sia un po' scontato, specie perché quel monito onnipotente omette la grande schifezza del Tiburtino, del Labaro, dell'Infernetto. L'ottica conservativo-didattica è disciplinare e feroce. Da individui scuolesenti, vorremmo poter giudicare da soli cosa è bello, senza che la signora che prende tutti i giorni il 64 ci indichi il Colosseo dal finestrino: "Non è bello?".

Ogni epoca onora la bellezza delle epoche precedenti perché li contiene in sé, le porta per così dire nel cuore. Se ha bisogno di una iniezione di civismo che identifichi il bello col giusto, è segno che non l'ha interiorizzata e quindi non può neanche reinventarla, dandosi una identità.

Di più, l'effetto può essere proprio quello di allontanare la bellezza, entità elusiva, dal popolo: glorificarla in astratto significa toglierle la terra sotto i piedi, isolarla in un altrove da privilegiati, lontano dalla vita. La sparata dei precari era una bruttezza dirottata verso il piagnisteo del disagio (altro puntello di altra retorica), mentre on stage andava in scena il sottile e pensoso fruscio della bellezza, materiata dagli chiffon della Casta e dalla pedagogia indignata di Gramellini.

La ramanzina di buon senso che ne è seguita ha soddisfatto il ceto medio riflessivo, rappresentato sul palco dalla levigata precettistica della bellezza. Il riot forconesco è diventato edificante, l'incidente è stato trasformato in apologo. Perseguire la bellezza non è di per sé un attestato di merito e motivo di orgoglio. È un dato di fatto e un evento della vita che non rende le persone migliori, come non dovrebbe farlo la beneficenza.

La bellezza dostoevskiana, concetto per niente semplice, non deve essere salvata da noi. Si salva da sola, e per soprammercato, magari, salverà chi vuole essere salvato. Si può essere persone perbene e odiare i Bronzi di Riace. Non frequentare i musei e versare il 5 per mille a Emergency. Dipingere Guernica e non pagare il canone. Di più: rivendichiamo il diritto di amare la bellezza, qualunque cosa essa sia, e di essere pessimi individui e cittadini spregevoli.

 

 

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