CACCIA GROSSA AL ROTTAM’ATTORE – LE TRIBÙ DEL PD APRONO IL FUOCO INCROCIATO CONTRO RENZI - DOPO AVER LIQUIDATO SENZA TROPPE STORIE FASSINA, CUPERLO, LETTA IL PREMIER SI ASPETTAVA CHE I ROTTAMATI LO RINGRAZIASSERO?


Federico Geremicca per "la Stampa"

I tamburi di guerra hanno ricominciato a rullare, i segnali di fumo si moltiplicano, così come i soliti riti propiziatori: da ieri, dunque, la caccia a Matteo Renzi è ufficialmente aperta, e le tribù del Pd si sono armate e messe in marcia.

Fino a qualche giorno fa, nascosto tra i cespugli, c'era solo qualche bracconiere, partito anzitempo: D'Attorre, Fassina, un po' di lettiani... Da ieri non è più così. E se ancora non si capisce chi e perché abbia dato l'ordine, l'ascia di guerra è ormai dissotterrata: i democratici sono partiti a caccia dello scalpo del loro sesto presidente del Consiglio in tempo di Seconda Repubblica e di maggioritario.

Quel che può sorprendere, forse, sono i tempi: Matteo Renzi - l'enfant prodige, il premier più giovane della storia repubblicana - ha infatti ottenuto la fiducia alla Camera il 25 febbraio, appena un paio di settimane fa. Quel che non può meravigliare, invece, è che la caccia sia ricominciata: che si chiamasse Prodi o D'Alema, Letta o Renzi, appunto, nessuno dei premier eletti dal centrosinistra è infatti mai sfuggito al cannibalismo praticato dalle tribù democratiche (e, prima, da quelle diessine o popolari).

Gli italiani - che per certe cose hanno buona memoria - sanno (ricordano) che da una parte c'era e c'è lui, Silvio Berlusconi, tre volte premier e Capo intoccabile del centrodestra fin dal 1994; dall'altra, un elenco di presidenti del Consiglio (Prodi, D'Alema, Amato, di nuovo Prodi, poi Letta e adesso Renzi) e di leader di partito (Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani e ora Renzi) da far girar la testa. Di là un «padrone» - secondo la vulgata di centrosinistra - e non è certo una gran cosa; ma di qua nessun «padrone», mai: e a conti fatti, potrebbe esser perfino peggio.

Lo spettacolo non è esaltante, il pomo della discordia non sono certo le «quote rosa» e i meno addetti ai lavori - i cittadini-elettori, insomma - faranno forse fatica a capire com'è possibile che il giovane leader incoronato segretario del Pd appena tre mesi fa col voto di due milioni di simpatizzanti, sia ora accusato di essersi fatto ostaggio di Berlusconi e di aver addirittura snaturato il partito che lo ha scelto come leader. E invece, purtroppo, non c'è nulla di incomprensibile nella logica interna a questa sorta di federazione di tribù che è ormai il Partito democratico, e che è allergica - da sempre - non solo al «padrone» ma perfino all'«uomo solo al comando»...

Sorprendono i tempi, dunque, non il fatto che la caccia sia partita. E anche sui tempi, forse, una spiegazione diventa possibile: impedire che Renzi si rafforzi ulteriormente, e che - magari - riesca davvero a far approvare una nuova legge elettorale nel giorno in cui, per di più, potrebbe davvero varare l'annunciata rivoluzione fiscale, mettendo «soldi nelle tasche degli italiani».

C'è una logica, insomma, nella scelta delle anime pd di riprendere le armi: una logica distruttiva, se si vuole, che guarda più all'oggi che al domani, che ignora l'incombere di una importante tornata elettorale, che fa a pugni perfino con un primordiale istinto di conservazione ma che - pure - ha una sua lucida, antica ed autodistruttiva coerenza.

Del resto, Matteo Renzi - che ha compiuto non pochi errori nella gestazione dell'Italicum - non poteva davvero attendersi nulla di diverso dalla riapertura della Grande Caccia. Un vecchio detto popolare ricorda che chi semina vento raccoglie tempesta: e nella sua scalata al Pd prima ed a Palazzo Chigi poi, l'ex sindaco di Firenze si è fatto spingere da raffiche impetuose...

Ha percorso una strada che dopo il suo passaggio risultava ingombra di feriti e rottamati, ha liquidato un viceministro (Fassina) con un chi?, un presidente del partito (Cuperlo) con un inciso e un capo di governo (Letta) con una relazione-lampo, venti minuti non di più. Altri, prima di lui, ci avevano rimesso le penne per molto meno: e che la caccia sia ricominciata, insomma, può sorprendere solo chi conosce poco o nulla delle tradizioni delle tribù democratiche.

Resterebbero, certo, il merito delle questioni, i problemi del Paese e il necessario appello a una qualche razionalità. Ma tutto ciò è in secondo piano, a fronte della guerriglia così improvvisamente ripartita. Le acque intorno al neo-premier, dunque, si fanno agitate: e se questo supermercoledì di mezzo marzo dovesse rivelarsi un bluff o poco più, potrebbero trasformarsi rapidamente in tempestose. Si vedrà. Per intanto, Berlusconi e i suoi osservano l'avvio della Grande Caccia con un sorriso soddisfatto. «In che condizioni si ritroverà il Pd dopo la legge elettorale?», chiedeva ieri Deborah Bergamini. Non meglio di prima, forse. Ma niente di grave: in fondo, ci è abituato...

 

 

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