1. LE FOTO DELL’ULTIMA USCITA PUBBLICA DI ANDREOTTI AL FIANCO DELL’EREDE GIANNI LETTA 2. DOVE LO TROVATE OGGI UN POLITICO CHE CURA MANIACALMENTE I SUOI ELETTORI SCRIVENDO A MANO DIECIMILA BIGLIETTI DI AUGURI PER NATALE, OGNUNO CON UNA FRASE PERSONALE (BIGLIETTINI CHE SCRIVEVA OGNI GIORNO DELL’ANNO PER ALMENO MEZZ’ORA, ALTRIMENTI NON CE L’AVREBBE FATTA A FARLI TUTTI INSIEME A RIDOSSO DELLE FESTE)? 2. QUANDO ARRIVÒ LA NOTIZIA DELLA CONDANNA PALERMITANA, L’EX PRESIDENTE COSSIGA SI RECO’ A SALUTARLO A CASA, ACCOLTO SULLA SOGLIA DALLA SIGNORA LIVIA, CHE GLI DISSE: ”SE TU NON LO AVESSI FATTO SENATORE A VITA, LO AVREBBERO ARRESTATO” 3. DAGO-VIDEO DI FERNANDO PROIETTI: VITA, OPERE E MISFATTI DI “BELZEBÙ” ANDREOTTI

Foto di Mezzelani-Gmt

1. DAGO-VIDEO DI FERNANDO PROIETTI: VITA, OPERE E MISFATTI DI "BELZEBÙ" ANDREOTTI

2. DAGOREPORT - SIMBOLO DEL POTERE OSCURO E UOMO DALLA VITA STRAORDINARIAMENTE SEMPLICE

Ovviamente, di Andreotti Giulio non ce n'era uno solo. E come poteva essere diversamente per l'unico politico italiano e mondiale che tra i soprannomi più unanimemente riconosciuti aveva anche quello di "Belzebu'"?

Il Principale, secondo la definizione di Cirino Pomicino Paolo, uno dei suoi allievi più intelligenti tuttora attivo come commentatore, ha avuto varie incarnazioni nel dipanarsi degli ultimi sessant'anni dove la sua parabola personale e quella del paese sono state fittamente intrecciate.

Incarnatosi sette volte come presidente del Consiglio e 22 volte come ministro, l'acqua santa la prendeva alla messa antelucana che frequentava ogni giorno, quasi sempre alle 6 del mattino a piazza Capranica, mentre da casa sua a pochi passi da San Pietro, alla fine di Corso Vittorio, si recava nel mitico ufficio di piazza San Lorenzo in Lucina, dove la segretaria, Enea, custodiva i suoi segreti.

E davanti alla chiesa, spesso nei momenti topici della vita politica, l'aspettava Mario Stancanelli, cronista dell'Adn Kronos, per cercare di carpirgli una parola, mai o quasi mai una frase. E subito dopo, secondo la leggenda, diventava Belzebu'.

La sua prima incarnazione avviene a 27 anni quando entra come deputato all'assemblea costituente. Subito dopo diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Alcide De Gasperi premier e Montanelli Indro che sostiene che quando i due si recano in Chiesa De Gasperi parla con Dio e Andreotti con il prete per ottenere i voti della parrocchia.

A questa fase appartengono gli anni della ricostruzione del Paese, i nastri delle inaugurazioni, il suo capello nero brillantinato, Cinecittà e il neorealismo, un amore per il cinema che lo convinse anni dopo a interpretare se stesso in una corsa sul taxi di Alberto Sordi.

La seconda fase è quella di un capocorrente democristiano di fatto senza corrente, anche se il suo gruppo esisteva e si chiamava "Primavera". Comprendeva il Lazio perché da ministro aveva fatto salire la competenza della Cassa per il Mezzogiorno sino al suo collegio elettorale di Frosinone (e infatti ancora oggi passando sull'autostrada del Sole da quelle parti si vedono le industrie nate allora proprio lì, perché a parità di contributi era inutile scendere più a Sud) e comprendeva la Sicilia, perché a lui facevano capo democristiani in odore di mafia come Lima Salvo o Gioia.

Il partito romano e laziale è passato alla storia perché il suo più stretto collaboratore, Franco Evangelisti, veniva apostrofato così da Francesco Caltagirone, il capostipite dei costruttori siciliani saliti a Roma: "A Frà che te serve?", come lo stesso Evangelisti ebbe a rivelare in una intervista a Paolo Guzzanti, allora cronista di Repubblica. A Roma c'erano "Pennellone" Signorello Nicola, mediocre sindaco della città, e lo "squalo" per definizione, Sbardella Vittorio, re del comitato romano della Dc e signore delle tessere, che ogni notte all'una si intratteneva velocissimamente con una prostituta vicino al suo ufficio di via Pompeo Magno in Prati.

In realtà, il divo Giulio, non aveva bisogno di una corrente perché bastava da solo a tenere i rapporti con gli americani, i tedeschi e gli arabi sul fronte internazionale, i Papi e il Vaticano tutto di cui era uomo di fiducia e punto di riferimento costante, l'alta burocrazia ministeriale che aveva in lui la sua stella polare e non solo perché romano, il suo stesso elettorato che curava maniacalmente scrivendo a mano diecimila biglietti di auguri per Natale, ognuno con una frase personale diretta all'interlocutore (bigliettini che scriveva ogni giorno dell'anno per almeno mezz'ora, altrimenti non ce l'avrebbe fatta a farli tutti insieme a ridosso delle feste).

I regali per le cresime e le comunioni li faceva prelevare da un magazzino dove faceva tenere in ordine tutto quello che riceveva come omaggio. E l'elettorato lo ripagava delle attenzioni con preferenze record: seicentomila alle prime elezioni europee, il record della Prima Repubblica.

Gestore governativo delle convergenze parallele disegnate da Aldo Moro, presidente del Consiglio del governo della non sfiducia nato nel giorno del rapimento del leader barese da parte delle Brigate Rosse, ha sempre coltivato rapporti importanti con gli uomini del Pci, o con alcuni di essi, in particolare i romani. Ma la sua grandezza venne fuori nella fase più difficile della sua vita pubblica, quando venne incriminato per concorso esterno in associazione mafiosa attraverso il teorema Violante, allora a capo della Commissione antimafia.

Con una costanza incredibile e tutta la sua proverbiale meticolosità, le sue agende precise, si difese nel processo, partecipando di persona a tutte le udienze al Tribunale di Palermo accanto ai suoi avvocati, Franco Coppi e la giovane Giulia Bongiorno. Un imputato modello che si beccò una condanna in primo grado, corretta poi dalla Cassazione che lo riconobbe vicino ai mafiosi ma soltanto sino al 1980.

Quando arrivò la notizia della condanna palermitana, l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga si reco' a salutarlo a casa, accolto sulla soglia dalla signora Livia, che gli disse: "se tu non lo avessi fatto senatore a vita, lo avrebbero arrestato". Cosa che i giudici di Palermo volevano fare a tutti i costi, anche se molti particolari del processo stonavano, come il bacio tra lui e Totò Riina di cui i pentiti raccontavano. " Ma come, dicevano i suoi amici, lui non ha mai baciato nemmeno sua moglie...".

Intanto aveva già metabolizzato altri episodi oscuri, come la condanna in appello a 24 anni per l'omicidio Pecorelli, poi annullata dalla Cassazione, o i rapporti con Sindona Michele, mandante dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli, o quelli più politici con l'Msi ai tempi della scissione di Democrazia Nazionale, o i rapporti di lungo corso con il massone Licio Gelli, che ai tempi era il direttore generale della Permaflex, naturalmente ubicata nei dintorni di Frosinone in area Cassa del Mezzogiorno. O quelli con la maggioranza silenziosa, nata a Milano negli anni Settanta.

Ma al di là delle responsabilità penali, dalle quali era uscito parzialmente pulito dalla Cassazione, le responsabilità politiche di Andreotti Giulio, in arte Belzebu', sono state maggiori e più importanti nella deriva italiana del secolo scorso. Innanzitutto per via della sua filosofia di vita: "Tirare a campare è meglio che tirare le cuoia", soleva dire. E questa filosofia, da parte di uno che è stato sette volte capo di governo e 22 volte ministro, non era certo il massimo per risolvere i nodi di un Paese come l'Italia.

Di fatto, tale massima, insieme a quella gemella per cui rimarrà famoso ("il potere logora chi non ce l'ha"), può oggi, in morte del suo autore, assurgere a simbolo dei duemila miliardi di debito pubblico del nostro Paese. La filosofia del tutto si aggiusta è servita a lasciare alle generazioni future una palla al piede gigantesca, quella che stanno utilizzando i tedeschi per strangolarci.

Simbolo del potere oscuro, eppure statista conosciuto nel mondo, uomo dalla vita straordinariamente semplice, tifoso della Roma (Viola, il presidente del secondo scudetto, era un suo uomo), ma nume tutelare anche della Lazio attraverso Banca di Roma e Cragnotti Sergio, riferimento storico di Letta Gianni, e quindi per interposto zio, anche di Letta Enrico, non ha avuto nemmeno una famiglia invadente.

Solo un genero giornalista alla Rai, ma bravo di suo che non ha fatto comunque una grande carriera, e un nipote che ha fatto un po' di politica a Roma. Eppure, è stato anche simbolo della Casta ante litteram, oltre che passare alla storia con De Gasperi, Moro, e Fanfani come uno dei quattro cavalli di razza della Democrazia Cristiana, che oggi appare davvero più defunta di prima.

 

 

 

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