PIÙ CHE TRASPARENTE, ETEREO - MONTI AVEVA PROMESSO “TRASPARENZA ASSOLUTA” SUGLI STIPENDI DEI MINISTRI MA NESSUNO SA ANCORA QUANTO PRENDONO - L’UNICA COSA CERTA È CHE PRENDONO TEMPO: I 90 GIORNI PREVISTI DALLA LEGGE PER LE DICHIARAZIONI DI INTERESSI DEI MEMBRI DEL GOVERNO SCADONO IL 16 FEBBRAIO E MONTI SEMBRA INTENZIONATO A FARLI PASSARE TUTTI - DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO ISTAT DI GIOVANNINI E POLEMICHE SUGLI STIPENDI DEI POLITICI NON È PROPRIO QUESTO IL MOMENTO PER MOSTRARE IL CONTO IN BANCA…

1 - NESSUNA TRASPARENZA SUL PATRIMONIO DEI PROF
Tom. Mon. per "Libero"

Oggi fa un mese. Tanto è passato dall'annuncio con cui Mario Monti assicurava che, in nome della trasparenza, dei suoi ministri nulla sarebbe stato nascosto agli italiani. A partire dalla loro situazione patrimoniale. Invece le settimane passano e non succede niente. E dire che adesso il tempo, dopo la conversione in legge del "decreto salva Italia", ci sarebbe. Complici le festività natalizie e gli impegni del premier all'estero, infatti, il prossimo consiglio dei ministri non sarà convocato prima di domenica 8 gennaio.

Eppure della tanto strombazzata "operazione verità", a scorrere le pagine web dei ministeri, continua a non esserci neppure l'ombra. Prendiamo la Funzione pubblica, alla quale si deve, grazie all'ex ministro Renato Brunetta, l'obbligo per le amministrazioni di «pubblicare nel proprio sito Internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti». Di retribuzione, nella sezione che riguarda il ministro Filippo Patroni Griffi, non c'è traccia.

Lo stesso accade per Francesco Profumo, numero uno dell'Istruzione: ci sono curriculum, comunicati stampa, interventi e rassegna, ma non gli emolumenti percepiti. Idem per Elsa Fornero, numero uno del Welfare: fanno bella mostra di sé la biografia, i riconoscimenti, le pubblicazioni e le posizioni passate, però manca la situazione patrimoniale. E dire che Monti era stato perentorio il 4 dicembre, giorno della presentazione della manovra: «Per i membri del governo ci sarà un criterio di trasparenza a livello delle migliori pratiche internazionali. Abbiamo deciso di dichiarare per intero i patrimoni».

Proposito ribadito in forma solenne lo scorso 29 dicembre nel corso della conferenza stampa di fine anno. Ma quale impegno non mantenuto, ha precisato il premier, il termine entro il quale adempiere alla promessa è quello «dei 90 giorni prescritto dalla legge per quanto riguarda le dichiarazioni di interessi dei membri del governo». Giorni che «non sono ancora decorsi».

Eppure il roboante annuncio del 16 novembre, dopo il giuramento dell'esecutivo - «saremo di una trasparenza assoluta» - lasciava immaginare ben altra tempistica. Così resta in attesa anche il senatore del Pdl Raffaele Lauro, che da oltre un mese attende una risposta alla sua interrogazione su «quali iniziative il governo intenda adottare al fine di portare a compimento la necessaria operazione di trasparenza».

2 - GIOVANNINI CONTRATTACCA «CI HANNO CHIESTO UNA VERITÀ MATEMATICA MA È IMPOSSIBILE
Mario Sensini per il "Corriere della Sera"

«Sapevamo che sarebbe finita così. La reazione alla pubblicazione del Rapporto, considerata l'attesa che c'era, è stata quella che ci aspettavamo». Enrico Giovannini, presidente dell'Istat e della Commissione voluta dal governo Berlusconi per il «livellamento» delle retribuzioni pubbliche italiane alla media europea, non è sorpreso più di tanto.

La verità, dice, è che «tutti volevano un numeretto, una verità matematica». Se non è arrivata non è per incapacità o poca volontà, ma semplicemente perché era impossibile da calcolare. Ma a prescindere da questo, dice Giovannini, «è sbagliato demandare ad un automatismo delle decisioni che, invece, richiederebbero una valutazione attenta e l'esercizio della discrezionalità politica». Incapace di intervenire per porre un freno ai suoi costi, la politica ha abdicato alla matematica. Il parametro su cui livellare gli stipendi di deputati, senatori, dirigenti della pubblica amministrazione e degli enti locali è stato chiesto agli statistici. Un semplice numeretto. «Come successe con il 3 per cento di deficit per entrare nell'euro.

La politica non volle prendersi la responsabilità di dire chi era dentro e chi era fuori, e per farsi cavare le castagne dal fuoco - racconta Giovannini - chiese agli statistici di tracciare una linea netta al tre virgola zero per cento». «La verità, invece, non sempre sta nei numeri». E così la tanto attesa media non è saltata fuori. «Perché le situazioni da considerare sono troppo diverse», ma anche perché, ammette Giovannini, la legge «è ambigua e anche contraddittoria».

Pensare di tagliare gli stipendi dei politici allineandoli ai valori medi europei, che poi medi non sono, non è la strada giusta. Il vero problema, però, non è tanto per i politici. Il livellamento delle retribuzioni alla media Ue, oltre a Camera e Senato, riguarda altre 29 istituzioni, gran parte delle quali non hanno per giunta alcuna corrispondenza in Europa. La media Ue, ammesso che sia possibile calcolarla, diverrebbe automaticamente il tetto massimo della retribuzione dei vertici dirigenziali. «Il che significa - commenta Giovannini - che gli stipendi medi dei dirigenti pubblici italiani dovrebbero essere per legge più bassi della media europea». Era questo l'obiettivo?

 

MARIO MONTIFilippo Patroni GriffiSCHEDA FRANCESCO PROFUMO Enrico Giovannini DSC

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