1- UN-DUE-ICTUS BOSSI ORMAI È IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI PADANAS 2- LA PROFEZIA: IL BANANA E IL SENATUR, COME INSIEME STARANNO, COSÌ INSIEME CADRANNO 3- VARESE, LA CULLA DELLA LEGA, COME LENINGRADO: “QUESTO È UN SOVIET”, “MANCA LA DEMOCRAZIA”, “COME IN RUSSIA”, “BOSSI HA SEMPRE AVUTO RISPETTO PER LA NOSTRA BASE, OGGI PURTROPPO HA PERSO L'AUTOREVOLEZZA E GOVERNA CON L'AUTORITÀ” 4- LA CAPORETTO DI BOSSI, TRAVOLTO DAL TROTA E DAL “CERCHIO MAGICO”, LE CAREZZE DI BERLUSCONI, L'IMBOCCAMENTO DELLA POLVERINI, LE PERNACCHIE E IL DITO MEDIO

1 - NELLA SALA URLANO: "QUESTO È UN SOVIET" E AL SENATÙR VENGONO LE LACRIME AGLI OCCHI
Rodolfo Sala per "la Repubblica"

Come ai litigiosissimi congressi della Dc, ma a Varese ieri va in scena pure il Grande Inganno. Che avrebbe per vittima lo stesso Bossi. Lo raccontano i nemici di Reguzzoni, il capogruppo alla Camera sponsor del nuovo segretario: il Capo era convinto che dopo il suo endorsement pro Canton, e dopo la resa degli altri due candidati, al congresso «non ci sarebbe stato casino». Invece si è andati ben oltre, e l'Umberto c'è rimasto male.

Parecchio, aveva quasi le lacrime agli occhi, quando ha abbandonato per la prima volta la sala mentre i delegati urlavano come ossessi. E qualcuno giura di averlo sentito addossare la colpa di tutto proprio a Reguzzoni. Chissà. Qualcun altro - per dare l'idea del caos che ormai regna - ora scommette che la prossima vittima sarà Giancarlo Giorgetti, il segretario lombardo.

«Faranno piazza pulita - prevede un dirigente - perché tanto da oggi le regole non valgono più, e infatti non è affatto prevista l'elezione di un segretario neppure per acclamazione, ma semplicemente perché tale viene dichiarato dal presidente del congresso». A proposito di regole, c'è anche chi cita il caso di Renzo il Trota.

Ieri l'avrebbero fatto votare anche se non era delegato, dopo che il padre dal palco aveva ruggito: «Ci sono discriminazioni contro i miei figli, non gli avete dato la tessera». Ma non è più il Bossi di una volta, adesso tra i suoi c'è chi gli si rivolta contro. A microfoni accesi. Alessandro Vegani, già sindaco di Buguggiate: «Mi sento come d'inverno sugli alberi le foglie». Già, lui il segretario "nominato" ieri da un congresso-bolgia non l'avrebbe proprio scelto. Lo dice dal palco, e ha paura: di essere cacciato, di cadere a terra come una foglia morta. Ma dice più, e fa niente se il segretario federale è lì: «Dopo che hanno fatto fuori i suoi due concorrenti, se io fossi Canton mi sentirei una merda».

Avanti un altro, lo Stefano Gualandis che fa il capogruppo in consiglio provinciale e mette il dito nella piaga: «Bossi ha sempre avuto rispetto per la nostra base, oggi purtroppo ha perso l'autorevolezza e governa con l'autorità». Poi ci sono Giorgio Sai e Angelo Veronesi, entrambi segretari di sezione, ad aggiungere lamenti: «Nella Lega c'è mancanza di democrazia». In sala correggono: «Sembra di essere in Russia, questo è un Soviet». Eccolo qui il rompete le righe che spinge la Lega alla sua Caporetto. Iscritti, dirigenti, delegati che non ci stanno e ci mettono la faccia.

Divisioni vecchie (cerchisti contro maroniani), ma non solo. Intanto perché Bobo ha ordinato di non far casino, dopo l'ukase del Capo che ha imposto Canton. E poi perché stavolta, come spiega un vecchio leghista varesino «questo schifo che è successo ha compattato tutti, anche quelli che sembravano più tiepidi».

Beninteso: non è solo una lotta di potere, o di strapuntino. Sullo sfondo rimangono le differenze tra chi pensa che con Berlusconi si debba andate avanti perinde ac cadaver e chi crede sia venuto il momento di mollarlo. Grosso modo.

Succede anche nel Veneto, ieri pomeriggio a Padova riunione fiume del parlamentino della Liga Veneta. Il tam tam era ossessivo: il segretario Gian Paolo Gobbo vuole commissariare il "provinciale" di Verona, retto da Paolo Paternoster un fedelissimo del maroniano di ferro Flavio Tosi. Non se n'è fatto niente, anche se il tentativo c'è stato: l'eco del disastro di Varese era arrivata, meglio non gettare altra benzina sul fuoco.


2 - IL "CERCHIO MAGICO" NON BASTA PIÙ COSÌ CROLLA L'AUTORITÀ DEL VECCHIO CAPO
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

Non doveva succedere ed è successo. Inesorabili, però, questi fischi. Fischi padani, fischi di cuore, fischi fatti in casa, a Varese, culla della Lega, quindi specialmente simbolici. Fischi a lungo temuti, oltretutto, e sventati in extremis neanche due mesi fa quando attorno al loro destinatario, fino a quel momento barricato in un salottino dietro un muro di guardie del corpo, si avvertì che in Cadore c'era aria di contestazione, piccoli capannelli si formavano per la strada, voci che si rincorrevano e allora - «Brutto, brutto, meglio andare» - via di corsa nottetempo dall'hotel Ferrovia di Calalzo.

E insomma, nonostante tutti gli scongiuri e le operative cautele del caso l'energia non soltanto sonora di questi benedetti fischi ha finalmente perforato la barriera incantata del Cerchio Magico e adesso Bossi è un po' meno Bossi. A riprova che il carisma non è dato per sempre, e che non esiste re a cui il destino non rechi prima o poi in cortese o meno cortese dotazione una qualche forma di bambino che come nella famosa fiaba di Andersen a un certo punto se ne esca: il re è nudo, appunto - e a vederli, questi sovrani vecchi, infermi e denudati non sono mai spettacoli piacevoli, ma istruttivi sì, altroché se lo sono, e per tutti, a cominciare da loro stessi.

Inutile adesso ricordare con quanta superba e fragorosa efficacia per vent'anni e più Bossi ha sistematicamente mortificato coram populo i suoi rivali e contestatori, sollecitando gli istinti meno misericordiosi della folla leghista.

Chiedere a Bobo Maroni, qualificato, pensa un po', «braccio debole da amputare», l'unico peraltro su cui poi si esercitò la magnanimità del Senatùr, anche se per estrema beffa spedito con tanto d'incarico a diffondere il verbo della Lega nel Mezzogiorno d'Italia (maggio 1995). Ma almeno a quei tempi i congressi non si svolgevano a porte chiuse. Mentre invece ieri i giornalisti, i fotografi e le telecamere, soprattutto, hanno trovato sbarrata la sala dell'Ata hotel e l'unica inconfessabile motivazione di questo inaudito divieto è che non dovevano trasmettere non già lo spettacolo irresistibile del dissenso, ma quello ancora più irresistibile e definitivo della dissacrazione.

Vana speranza, al giorno d'oggi: e non solo perché, a differenza della televisione, che per sua natura e vocazione consacra il potere di chi ce l'ha, i nuovi media della rete hanno già ampiamente contribuito a profanare l'autorità del leader padano mostrandone in via seriale i segni sempre più evidenti della malattia, le frasi sconnesse, quelle che non si capiscono, le carezze di Berlusconi, l'imboccamento della Polverini, le pernacchie e gli altri frequentissimi gestacci.

E' che nulla ormai, nessun Cerchio o Circo magico può contro quella "Bestia apocalittica" (Ceronetti) che è la comunicazione,e così come negli ultimi due mesi l'operazione alla cataratta o la misteriosa caduta dalle scale o dal letto hanno colpito l'immaginazione del pubblico, ieri si è subito saputo lo stesso che Bossi era stato tenuto prudentemente al riparo in un'altra sala, e i fischi prima durante e dopo il suo intervento si sono ben sentiti,e poi sulla rete s'è visto il clip dei delegati che uscivano fuori furenti, e magari domani ci fanno il remix con la musica e la partecipazione straordinaria del Trota, dell'altro figlio Riccardo, il rallysta, della signora Manuela e della vicepresidente badante del Senato Rosy Greco, doppiata mentre mette ai voti qualche emendamento.

Questo per dire che se nel mondo delle visioni a distanza il precario stato di salute di Bossi ne ha eroso il carisma, e più velocemente il disinganno lo sta facendo svanire, la sconfitta politica e l'assenza di prospettive creano le premesse per la sua più violenta e rumorosa abolizione. Ora, va da sé che il processo non si risolve in un pomeriggio, ma per la prima volta è apparso chiaro che l'icona ha perso tutto o quasi il suo smalto dorato e che il totem si è incrinato nel luogo da cui è partita la straordinaria avventura leghista e nel tempo in cui quello strambo agitatore dell'autonomismo è ormai divenuto un ministro della Repubblica, anzi l'uomo nelle cui mani stanno le sorti della maggioranza, del governo, di Tremonti, dello stesso Berlusconi e del suo impero.

Colpisce che tale esito vada manifestandosi poco dopo che il ritratto di Bossi è stato appeso - privilegio unico per un uomo di governo - alle pareti delle sedi distaccate dei ministeri padani nella villa di Monza. Eppure, in quella strana sequenza di eventi che per convenzione o apatia si continua a definire politica, non sarebbe la prima volta che l'inizio della fine coincide con il suo apparente contrario. E' una lezione che vale per tutti. Nei partiti carismatici l'obbedienza è terribile perché abitua chi comanda a sentirsi infallibile e chi obbedisce prima a non avere idee, e poi solo fiato da buttare fuori con rabbiosi sibili.

 

UMBERTO BOSSI A VARESE ROSY MAURO CANTON E BOSSI Roberto Maroni con i suoi candidati Donato Castiglioni e Leonardo Tarantino RENZO BOSSI CON UMBERTO BOSSI MAURILIO CANTON E UMBERTO BOSSI IL FIGLIO DEL SENATu r ROBERTO BOSSI CANTON ELETTO SEGRETARIO DELLA LEGA A VARESE MARCO REGUZZONI BOSSI SALUTA I SOSTENITORI A VARESE

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