“PASOLINI ERA UN COMUNISTA ANOMALO. AVEVA PROBLEMI COL PCI PERCHÉ NON ERA INQUADRATO ED ERA OMOSESSUALE” – FABIO CAPELLO RICORDA LO SCRITTORE E REGISTA NEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE: “VOLEVA SEMPRE CHE GIOCASSIMO INSIEME: IO A CENTROCAMPO E LUI ALL’ALA SINISTRA. GLI DICEVO CHE I SUOI ERANO TIRI CORSARI, COME I SUOI SCRITTI. PER LUI IL CALCIO ERA 'L’ULTIMA RAPPRESENTAZIONE SACRA DEL NOSTRO TEMPO'. MA OGGI, VEDENDO TUTTI I PASSAGGI AL PORTIERE, INORRIDIREBBE. LUI AMAVA IL DRIBBLING" - "LA VERSIONE UFFICIALE DELLA SUA MORTE? NON PENSO SIA STATO UCCISO PERCHÉ SCOMODO, MA DEI DUBBI MI SONO RIMASTI” – VIDEO
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Massimo Cecchini per "il Messaggero" - Estratti
È possibile che quel 2 novembre di 50 anni fa, all'Idroscalo di Ostia, insieme alla morte Pier Paolo Pasolini abbia trovato anche una uscita di scena dolorosamente degna della sua grandezza.
I misteri che sono lievitati dopo il suo omicidio, del resto, hanno finito per essere delle cartine di tornasole intorno alla sua opera, utili persino a far affiorare una eredità culturale emendata dal superfluo.
In questi tempi di provocazioni senza rischi e senza identità, in fondo, forse non sarebbero stati in molti a comprendere le sue idee di progresso e modernità senza confonderle con sterile passatismo.
Fabio Capello, però, lo ha conosciuto negli anni ruggenti, quando il poeta camminava in bilico sulla sua felicità fatta di tre cose: «La letteratura, l'eros e il calcio». E allora, su PPP, è opportuno ascoltare anche uno dei principi degli allenatori italiani.
Capello, ricorda il giorno in cui morì Pasolini?
«Ricordo il dolore che provai, anche perché non fu una bella morte. Ripensai a come si raccontava anche nel modo in cui giocava a pallone».
Quando vi siete incontrati?
«Nei primi anni del Settanta a Grado. Io, Riva, Reja: eravamo in parecchi ad andare lì per fare le sabbiature. Io avevo il ginocchio a pezzi e all'epoca era quella la fisioterapia per recuperare. Lo conoscevo perché leggevo i suoi articoli e avevo visto i suoi film, ma fu il calcio a fare da collante. Era un vero appassionato, del tutto disinteressato al fatto di giocare all'Olimpico oppure per strada.
pier paolo pasolini fabio capello
Stava ore a far domande di tattica, a chiedere dettagli. Era curioso e sapeva ascoltare. Era piacevole, mite, quasi timido. Poi organizzava partite benefiche fra squadre di artisti con noi calciatori e ci divertivamo. C'era Raf Vallone in porta, Franco Citti, Ninetto Davoli e tanti altri. Infine si andava a cena e si stava ore a chiacchierare».
Della sua attività che cosa le è rimasto più impresso?
«I film. All'epoca andavo spesso al cinema e non mi ero perso Medea, Il Decameron, Salò Anche i film meno belli erano sempre importanti, ed è un segno di valore. Erano semplici e autorevoli, e guardi che tenere insieme queste due cose è difficile. Aveva la visione del fuoriclasse, di chi vede le cose prima degli altri e poi viene copiato».
Vi riconoscevate anche nella friulanità?
«Sì, nel modo di pensare molto rigido, molto diretto. Siamo gente di confine e questo ti rimane dentro, così come impari a convivere col dubbio senza essere mai conformista».
Di lei diceva che, insieme a Boninsegna, era il calciatore con cui parlava più volentieri. Come giocatore invece scrisse che, in Nazionale col c.t. Bernardini, "adesso che è costretto a correre, Capello è diventato un grande. Il segreto del gioco moderno è l'esattezza massima alla massima velocità".
«Esagerava un po', ma voleva sempre che giocassimo insieme: io a centrocampo e lui all'ala sinistra. Comunque era tecnicamente bravo e molto scattante, oltre al fatto che - da buon tifoso del Bologna - gli piaceva fare il doppio passo alla Biavati. Da ragazzo era soprannominato Stuka, come l'aereo tedesco. Non aveva un gran potenza, per questo gli dicevo che i suoi erano tiri corsari, come i suoi Scritti».
pier paolo pasolini fabio capello
PPP diceva del calcio che era "l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, avendo sostituito il teatro".
(...)Lui che amava i dribbling, nel vedere tutti i passaggi al portiere di adesso inorridirebbe».
Il calcio di strada lo vedeva come "espressione di lotta di classe".
«È una definizione troppo poetica, però quel tipo di calcio adesso manca».
Del resto, preferiva che i ragazzi a 13-14 anni pensassero solo al calcio e non al sesso, perché "la libertà sessuale precoce non ha nessuna contropartita".
«Ora sarebbe diventato matto. I genitori ti danno il telefonino in mano a 4 anni e vedi ciò che vuoi»
(...)
Per Pasolini "il miglior poeta italiano è il capocannoniere del campionato". Esagerava anche in questo?
«Sono similitudini degne di lui, ma una cosa è certa: la passione per il calcio era straordinaria».
Lei, che politicamente è un conservatore, si trovava bene con un comunista anomalo come lui
«Certo, proprio perché era anomalo, con visioni ampie. I suoi problemi con il partito erano dovuti al fatto che non era inquadrato, a partire dalla sua omosessualità. Era una mente libera. Non si truccava. In tutti i sensi»
silvio berlusconi fabio capello
In tempi di social sarebbe stato preso di mira?
«Sicuramente avrebbero potuto offenderlo, ma guardiamo a quello che ha dato come regista, come scrittore e come uomo. È questo ciò che va valutato, non i social».
(...)
Crede alla versione ufficiale sulla sua morte?
«Non penso sia stato ucciso perché troppo scomodo, ma ho sempre cercato di informarmi. E dei dubbi mi sono rimasti».
Dacia Maraini ha scritto che nel calcio "Pier Paolo inseguiva un se stesso bambino che scappava.
Quando giocava quel bambino prendeva corpo assieme al pallone; quando finiva di giocare, tornava l'adulto inquieto e doloroso che era diventato". Concorda?
«Forse non si sarebbe potuto dire meglio di così».
mauro tassotti fabio capello adriano galliani
fabio capello
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fabio capello e la moglie laura ghisi
fabio capello silvio berlusconi
pier paolo pasolini
orson welles e pier paolo pasolini



