1- E ADESSO, POVERETTI? CON LA RINUNCIA DI WALTERLOO VELTRONI I “ROTTAMABILI” BINDI, MARINI, FINOCCHIARO, FRANCESCHINI, FIORONI, SERAFINI, MELANDRI, E SOPRATTUTTO IL MAGO DALEMIX RISCHIANO DI PASSARE IN VIA DEFINITIVA NELLA CATEGORIA DEI “ROTTAMANDI” E DI LÌ SCIVOLARE IN QUELLA, PRESSOCHÉ TERMINALE, DEI “ROTTAMATURI” 2- CASTAGNETTI, UN PASSO INDIETRO: “LA MIA GENERAZIONE HA FALLITO, È L’ORA DEL RITIRO” 3- ROMANO PRODI: “NO COMMENT. STO PARTENDO PER IL MIO INCARICO ONU NEL MALI. VELTRONI IN AFRICA COME ME? È UN CONTINENTE GRANDE, CI POSSIAMO STARE ANCHE IN 3 O 4”

Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

E adesso, poveretti? Con la rinuncia di Veltroni i "rottamabili" rischiano di passare in via definitiva nella categoria dei "rottamandi" e di lì scivolare in quella, pressoché terminale, dei "rottamaturi". Nulla ancora è chiaro, ma lo statuto del Pd, già indicato su altre vicende come preclaro esempio di farraginosa e contraddittoria ambiguità, non aiuta certo il percorso, e questo anche perché con il dovuto ritardo si è scoperto che a luglio, non si dirà alla chetichella, ma quasi, è stato arricchito di norme interpretative nel migliore dei casi destinate ad accrescere speranze, ma anche sospetti.

Così, per restare ai fatti e alle loro personalizzatissime concatenazioni, accade che chiamandosi fuori Veltroni in realtà egli chiama in causa Bindi, Marini, Finocchiaro, Franceschini, Fioroni e soprattutto D'Alema, l'eterno duellante, che pure lui si voleva chiamare fuori, ma poi invece si è sentito chiamato (da Renzi) alla lotta per la dignità della politica e del suo ruolo, eccetera. Per cui adesso lui invece vuole presentarsi alle elezioni. Tanto per smentire l'eterna e perennemente negata rivalità, nonché gli automatismi
che sovrintendono le scelte del sistema mediatico.

Per cui si ritorna alla notizia del giorno e quindi alla classica "veltronata", soave e perfida nella sua inconfondibile irreprensibilità. Dato il personaggio, maestro di narrazioni, si
può azzardare che il "Piccolo Principe", romanzo di formazione walteriana, si è trasformato nel Principe Siddharta. Il quale, resosi conto che non voleva più vivere nel Palazzo, appunto ne uscì; e dopo essersi rasato la testa e aver indossato un abituccio da mendicante, andò a comunicarlo in prima serata a Fabio Fazio, pure affidando al pubblico televisivo il destino del suo ultimo romanzo, L'isola e le rose, e le sue recenti illuminazioni sulle utopie. Che a Montecitorio, occorre riconoscere, non è che abbiano tanto diritto di cittadinanza.

Non si dirà qui che si tratta di una sottile vendetta nei confronti degli oligarchi. Veltroni, a suo tempo autore de "La bella politica" (Rizzoli, 1995) ha tutte le ragioni per sostenere che la politica è diventata brutta; che l'impegno, la passione, il "dono", addirittura, di cui parlava nelle sue "lezioni di politica" (poi finite in confezione "libro più dvd") non si vedono più di tanto nemmeno nel Pd. Sembrano lontanissimi i tempi di "I care" e "We dream". Inoltre, come più volte teorizzato, ha tutto il diritto a una boccata di ossigeno.

Ma D'Alema e gli altri? Eh, pare già di vederli ironizzare sulla faccenda dell'Africa. A questo riguardo pare di ricordare che qualche anno fa, per qualche ragione polemica divenuta secondaria, proprio D'Alema disse, o meglio gli attribuirono, e poi lui smentì, una frase che comunque suonava parecchio sua e che diceva più o meno benevolmente: "Adesso vado a prenderlo e ce lo porto io, Walter, in Africa!".

D'Alema possiede una sublime tigna e specialmente tempestiva. Nel giorno della rinuncia di Veltroni s'è saputo che dal Mezzogiorno sta per arrivare un uragano di firme per la candidatura di Max. Fioroni, del resto, ha già raccolto firme, però di parlamentari, e questo genere di pronunciamenti alle orecchie della nomenclatura vuol dire che ha già un piede fuori. Rosy Bindi, d'altra parte, a lasciare non ci pensa nemmeno, e siccome è la presidentessa del partito ha già spiegato, magari in modo un po' sommario, che la funzione che ricopre le consente in ogni caso di interpretare cosa ha da intendersi per "deroga".

E' quest'ultima la paroletta magica, e sperimentata. Ora, anche senza rivangare l'episodio di un notabile laziale che nel 2006 fu escluso dalle liste col risultato che alcuni suoi esuberanti seguaci vennero a Roma a prendere a calci il portone dell'allora sede ds a via Nazionale, tra sottigliezze ermeneutiche, claque, lacrime, litanie e geremiadi quel notabile è poi ritornato a Montecitorio; per cui nell'incertezza dell'agognatissima deroga c'è chi si attacca alla formula: la mia sorte la deciderà il partito. Che è un modo di prendere tempo.

Solo che intanto Veltroni questo tempo lo ha parecchio accorciato e forse, anche grazie a Renzi e alla fine di sistema che si preannuncia, questa volta sta davvero per scadere. Tutto lascia pensare che non andrà in Africa. Converrà comunque segnalare che quel suo buon proposito fu pronunciato per la prima volta nel marzo del 2001. E' semmai la sua perseverante e incauta reiterazione, ampiamente documentata nella biografia "Il Piccolo Principe" di Damilano Gerina Martini (Sperling&Kupfer, 2007), che reca da allora annoiato fastidio a Veltroni e cupo divertimento ai suoi detrattori.

Nel corredo fotografico di quel libro c'è una foto di Walter bambino che fa le facce e le boccacce. Alle sue spalle ha un muro roccioso e negli anni in cui D'Alema interveniva ai congressi con l'uniforme del pioniere, lui indossa una felpa chiara con i Peanuts. C'è Snoopy sul tetto della sua cuccia con tre uccelletti e sotto Charlie Brown, Schroeder, Lucy e Linus. La scritta, in questo giorno particolarmente evocativa, dice: "Happiness is being one of the gang". Felicità è essere uno della gang. In tempi di pop-politica c'è da chiedersi se i fumetti dicono sempre la verità.

2 - TUTTA LA VECCHIA GUARDIA ORA È AL BIVIO BINDI: MA IL PARTITO CI DEVE DIFENDERE...
Goffredo De Marchis per "la Repubblica"

«Ha avuto coraggio». Da quattro giorni Bersani conosceva la scelta di Walter Veltroni. E anche a lui, dopo aver ascoltato le motivazioni dell'ex segretario, aveva detto: «Sei coraggioso ». Il riconoscimento di una virtù, quindi. Come dire che la stessa decisione presa da altri, sarebbe apprezzata. Finora le risposte dei big sono state molto diverse da quella offerta ieri sera in tv da Veltroni. Semmai cominciava a serpeggiare un malumore diffuso nei confronti del segretario. E del suo silenzio, della sponda sostanziale a Matteo Renzi. Rosy Bindi, nel corso di un appuntamento a Piacenza, si era sfogata con i colleghi di partito. «Bersani deve dire se mi vuole difendere da Renzi oppure no. Se per lui sono ancora una risorsa o meno».

E' lo stesso disagio che emerge dall'appello di amministratori e intellettuali del Sud a favore di Massimo D'Alema che oggi sarà pubblicato a pagamento sull'Unità. Ma la mossa di Veltroni cambia tutto. È stato il primo e non potrà essere l'ultimo. Un intero gruppo dirigente, una nomenklatura deve ora esprimersi sul proprio futuro. Dire, o no, se è arrivato il momento del tutti a casa.

La lista dei «vecchi» è molto lunga. Dirigenti di prima fila e di seconda. In ordine sparso: Fioroni, Follini, Anna Serafini, Bindi, D'Alema, Treu, Morando, Finocchiaro, Melandri, Bressa, Castagnetti, Turco, Parisi. Veltroni si è già tirato fuori da un elenco che adesso rischia di essere additato ancora di più come quello dei parlamentari da rottamare. Pierluigi Castagnetti, con una saggezza che gli viene dalla scuola dc, ha già fatto un passo indietro: «La mia generazione ha fallito, è l'ora del ritiro».

Beppe Fioroni invece non si nasconde: «Io combatterò fino alla fine». Attaccato alla poltrona? L'ex ministro pensa che la scelta di «Walter» sia dovuta alla politica e non all'anzianità. «Non si riconosce nell'alleanza che sta venendo fuori, esprime una situazione di grande disagio. Io la penso come lui, ma spero di cambiare le cose».

Molti dei dirigenti di lungo corso scelgono la strada dell'attesa. Aspettano gli effetti della «bomba» veltroniana sui tg della sera e sui giornali di oggi. Una prudenza che non significa che il problema non esista. Ma li tiene al riparo da commenti a caldo, in una fase delicata. Enrico Morando, veltroniano di ferro e sostenitore del Monti bis, non parla di sé: «Nel mio caso non ho ancora deciso se chiedere la deroga. Lo farò presto ».

Ma non dovrebbe tutti seguire l'esempio di Veltroni? «Non faccio lezioni ai miei colleghi». E allora? «Sono certo che Walter continuerà il suo impegno in forme nuove. Mi dispiace ed è il segno di un declino della politica». Anna Finocchiaro non si smuove da una posizione che ora sarà spazzata via dai ritiri volontari. «Aspetto le decisioni del partito». Ma non regge più nascondersi dietro lo schermo del partito. «Io esco dal Parlamento solo se escono tutti gli altri. Tranne Bindi, D'Alema e Veltroni» ha detto Livia Turco qualche giorno fa. E' finita che il primo passo lo ha fatto uno di quelli che voleva salvare.

Certo, il gioco creato da Veltroni può diventare pericoloso per il partito tutto. Bersani ne è consapevole. Sa che una regola tradizionale della politica vuole che un big sia meglio tenerlo dentro che lasciarlo fuori. Da fuori rischia di diventare una fonte di problemi superiori. Ma nell'analisi di Parisi la sorte è scontata anche per i due big chiamati in causa dalla decisione di Veltroni. «Dodici anni di Parlamento sono sovrabbondanti. E quindi immagino che la questione interpelli maggiormente chi ha tanti anni di servizio più di me».

Insomma, un destino scritto. Ma che nessuno può prevedere quanto sarà indolore. Del resto il centrosinistra si porta dietro le scorie di anni di lotte intestine. Lo dimostrano le parole di Romano Prodi: «Sono fuori dalla politica, e sono vecchio, non voglio commentare. Sto partendo per il mio incarico Onu nel Mali. Veltroni in Africa come me? È un continente grande, ci possiamo stare anche in 3 o 4».

 

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