PENNACCHI DI SANGUE: "COSÌ HO RISCRITTO PER LA QUARTA VOLTA 'IL FASCIOCOMUNISTA' E NON MI SONO DIVERTITO. COME LE TOCCO, QUELLE FERITE GRONDANO SANGUE ANCORA NELL’ANIMA - È UN' OSSESSIONE LA SCRITTURA, NON SI È MAI CONTENTI: IL POVERO TASSO SI È DANNATO L’ANIMA..."

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Antonio Pennacchi per il Fatto Quotidiano

antonio pennacchi antonio pennacchi

 

 

Pubblichiamo la postfazione alla quarta edizione de "Il fasciocomunista" di Antonio Pennacchi, da oggi in libreria per Mondadori.

 

 

A cinquant' anni dal '68 - e a venticinque dai primi tentativi - ho riscritto quasi integralmente per la quarta volta, sul piano formale, Il fasciocomunista. Lo avevo iniziato nel 1992, per riuscire a terminarlo e vederlo pubblicato solo a febbraio 2003. Non ero però del tutto soddisfatto, e lo avevo rivisto da capo a fondo per una seconda edizione nel 2007 e di nuovo, per la terza, nel 2011. Adesso finalmente la quarta - è un processo d' avvicinamento per gradi - ma non è stato un viaggio agevole.

 

Non mi sono divertito per niente. Io lo sapevo già allora - cinquant' anni fa, nel '68 e pure oltre, mentre le cose mi accadevano - che poi le avrei scritte. Anzi, spesso ho pensato proprio lì - nello stesso istante - che m' accadessero perché dopo le scrivessi. Se no niente, non sarebbero successe, sarebbero andate da qualcun altro, e Pippo Muraglia (Lupo) non avrebbe detto ogni volta, sull' autostrada: "Ahò, questa ce la devi mettere".

antonio pennacchi antonio pennacchi

 

Ce le ho messe tutte, Lupo, ce le ho messe. Ma a riprenderlo di nuovo in mano cinquant' anni dopo, scavargli dentro e farlo al meglio m' ha riaperto un mare di ferite che credevo sepolte. Invece no: come le tocco, grondano sangue nell' anima ancora. Dice: "Vabbè, ma perché lo hai riscritto? Chi te lo ha fatto fare? Non stava bene come stava?". No. I Benassi in fin dei conti non sono che un ramo dei Peruzzi e bisognava quindi uniformare i nomi del Fasciocomunista a quelli di Canale Mussolini, che pur se apparso dopo (2010) ha assunto nei fatti il ruolo princeps della saga. Ma è proprio sul piano estetico complessivo, che non ero soddisfatto.

 

È un' ossessione la scrittura, non si è mai contenti e un autore - fin che campa - riprova spesso a migliorare la sua opera (certe volte però non ci riesce e la gente dopo dice: "Ma questa è peggio! Era meglio prima", come al povero Torquato Tasso che s' era dannato l' anima, dopo La liberata, a rifare a puntino, secondo lui, La Gerusalemme conquistata).

 

Solo quando un autore muore puoi stare tranquillo che non farà più danni. Dice: "Ma allora conviene comprare i libri dei morti?". Ah, mi sa di sì, soprattutto se compri i classici.

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Lì è sicuro che non prendi fregature. Coi contemporanei no: il rischio c' è sempre. Orazio sostiene che i versi dovrebbero restare nascosti per almeno nove anni - "nonumque prematur in annum" - prima di essere esposti alla luce del sole. Io non sono Orazio e me ne sono occorsi venticinque.

 

Oggi i giovani sostengono: "Ma che vuoi che ne sapesse lui? Mica sono più quei tempi". Invece no. Orazio ci capiva e i tempi della poesia e del racconto - i tempi e i modi di sentire degli esseri umani - sono sempre quelli. Ogni autore ha infatti chiaro in mente ciò che vuole dire e il campo dei sentimenti che vuole comunicare. Ma dall' averlo chiaro in mente al riuscire poi a farlo, è un altro paio di maniche. Quante volte si vorrebbe dire una cosa e gli altri invece non capiscono, o capiscono il contrario? Lo specifico del poeta o scrittore sta - o almeno dovrebbe stare - nel riuscire a comunicare al lettore le stesse sensazioni o sentimenti suoi, facendogli così scattare il meccanismo dell' identificazione.

IL FASCIOCOMUNISTA ANTONIO PENNACCHI IL FASCIOCOMUNISTA ANTONIO PENNACCHI

Ma se tu invece di una cosa ne hai trasmessa un' altra, tutte le tue intenzioni se ne vanno a benedire. Addio identificazione.

 

ANTONIO PENNACCHI ANTONIO PENNACCHI

È per questo che ci vorrebbero almeno nove anni (a me venticinque). Tu puoi rileggerlo mille e mille volte il tuo libro, ma se lo fai a caldo - a scrittura fresca - non lo farai mai come lo farà il lettore, poiché tu sai già dentro la tua testa ciò che volevi dire. Lui invece dovrà capirlo dalle mere parole che gli hai vergato. Quante volte capita - nel rileggere una mail o una lettera d' amore inviata tanto tempo prima a qualcuno di cui magari s' è persa memoria - di vergognarsi: "Nooo Come ho potuto scrivere queste cavolate?".

 

Così è per i libri. Solo quando ti sei scordato ciò che volevi dire, puoi rimetterti a leggere la tua roba come lo fa il lettore: dalle crude parole, come fossero di un altro. E dove non t' era riuscito allora di rappresentare a pieno il tuo sentimento, finalmente metti rimedio. Ecco, secondo me stavolta ce l' ho fatta. Poi non si sa mai. Da qui a morire, magari lo ripiglio in mano ancora.

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