SE UNO E' STRONZO NON GLI PUOI DIRE STUPIDINO - IL TURPILOQUIO E' DIVENTATO PRASSI  IN POLITICA, DA BORIS JOHNSON A MATTEO SALVINI - MA NON E' NECESSARIAMENTE UN MALE: DIRE PAROLACCE FA BENE, È LIBERATORIO E RAFFORZA I LEGAMI DI GRUPPO – DALL’“I DON’T GIVE A DAMN” DI CLARK GABLE IN VIA COL VENTO, PER CUI LA PRODUZIONE PAGÒ 85MILA DOLLARI ALLO SDOGANAMENTO NEL CONSIGLIO COMUNALE DI SALFORD (MANCHESTER), DOVE… – VIDEO

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Michele Farina per www.corriere.it

 

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La commessa della libreria Waterstones consegna la copia del libro avvolta nel cellophane: «Dev’essere per proteggere i bambini», sorride. Anche il titolo allude senza essere troppo esplicito: «The f!$*@ing history of swearing». Potremmo tradurlo (al limite del turpiloquio): «La fottuta storia del turpiloquio». La parola «nascosta» comunque la riconoscono tutti: fu pubblicata la prima volta in una poesia del 1503 dello scozzese William Dunbar, che osò scrivere «Fukkit» alla fine di un verso. Equivale più o meno al nostro «fanc». Hollywood la sdoganò nel 1970 in una puntata di Mash (fuxt). Oggi, nelle sue rigogliose varianti, è tra i termini più usati della lingua inglese. E perfino «apprezzati»: qualche giorno fa «l’autorevole Financial Times» ha pubblicato un articolo in cui si sostiene che «le persone intelligenti capiscono perché dire parolacce sul posto di lavoro paga».

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Il posto di lavoro forse più ambito nel Regno Unito è quello di primo ministro. E infatti l’impeccabile Theresa May ha dovuto lasciare le chiavi del governo a Boris Johnson, che ha un linguaggio scompigliato quanto la capigliatura. BoJo è uno che scrive libri su Churchill ma parla come il poeta Dunbar a fine verso. Il mondo degli affari esprime preoccupazioni sulla Brexit? Lui risponde: chissenefrega del f!$*@ing business. Chiaro che non è un termine che usa in pubblico tutti i giorni (nel film «Pulp Fiction» invece ritorna 1,74 volte al minuto). Ma ce ne sono altri. Il Financial Times ricorda come il premier sia affezionato a turds, str..zi, che ha usato anche per qualificare il governo francese. Arrivato al potere a fine luglio, Boris ha addolcito il suo eloquio tagliente, dopo averne fatto un segno distintivo del suo personaggio.

 

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Dunque, se è arrivato in cima lui, significa che sul lavoro la parolaccia «paga». O comunque non penalizza. «È percepita dagli altri come un segno di autenticità e onestà» riportano gli studi universitari sintetizzati dal FT. Lo swearing funziona. Anche in Italia Matteo Salvini invita i deputati «ad alzare il cu...», e i sondaggi mica lo penalizzano. Esistono ricerche scientifiche sulla pratica (un tempo considerata disdicevole se non ignobile) dell’imprecazione. La scienziata Emma Byrne ha scritto un libro liberatorio (e non cellofanato) che s’intitola «La parolaccia ti fa bene». Psicologi americani hanno provato che inveire aiuta a sopportare meglio il disagio. Semplificando il loro test: due gruppi di persone mettono il braccio nell’acqua ghiacciata. Ai primi è permesso imprecare, ai secondi no. Chi resiste di più? I primi, e di un bel 50%.

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Ma negli studi più recenti si va oltre: non solo è liberatoria e rafforza i legami di gruppo. La parolaccia farebbe risultare più «credibile», più «vero», chi la pronuncia. Davvero? Dipende anche da chi la dice (e a chi: meglio non rischiare con i superiori). Clark Gable nel 1939 alla fine di «Via col Vento» usò un’espressione bandita che diventò una delle battute più famose della storia del cinema: «Francamente me ne infischio». «Frankly, my dear, I don’t give a damn». Per quel «damn» (non me ne frega un accidenti) la produzione pagò una multa di 85 mila dollari.

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Vi immaginate se l’avesse detto Vivien Leigh? Nel suo libro Emma Byrne spiega bene la divisione di genere che per secoli ha giocato anche nel linguaggio: potere (maschile) e purezza (femminile). È vero che la parità è stata raggiunta più sul fronte del turpiloquio che dello stipendio: in uno studio del 2018 il professor Tony McEnery ha setacciato un corpus di 10 milioni di parole pronunciate da 376 volontarie. Rispetto agli anni ’90 del secolo scorso, le donne oggi usano cinque volte di più la parola che anche in italiano comincia con la f (fanc...): 546 volte ogni milione di termini. I maschi? Solo 540 volte.

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Le donne e gli uomini che praticano lo swearing possono tirare un sospiro di sollievo a Salford, vicino a Manchester, dove il consiglio comunale la settimana scorsa ha ritirato la disposizione del 2016 che prevedeva multe salate per chi imprecava in pubblico (fino a mille euro per i recidivi). Ci sono alcune aree del Regno Unito (una quindicina) dove misure simili sono ancora attive. Ma i tempi cambiano. E ora c’è f!$*@ing Boris sulla tolda di comando.

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